Piagnistei nazionalisti

Piagnistei nazionalisti

Fa davvero specie questa levata di scudi a “difesa dell’italianità” di Telecom. Proprio coloro che vent’anni prima avevano avviato il più imponente processo di privatizzazione avvenuto nella storia, oggi si dolgono per i suoi frutti avvelenati. Il problema però è che tutto questo dibattito parte da presupposti sconclusionati, e lo capiscono anche i più lucidi fra i protagonisti, come ad esempio il primo ministro Letta.

Di fatto, qualsiasi impresa che viene privatizzata è già, di fatto, contraria alle logiche del tanto evocato “interesse generale”. La nazionalità dell’imprenditore di turno non è certo garanzia di scelte politico-economiche condivise. Non è necessario qui scomodare teorie sul capitale che è già, di per se, transnazionale, e dunque refrattario per sua natura ad ogni ipotetico “interesse nazionale”. Basta un po’ di cronaca quotidiana. In base a quale legge o regola di mercato un imprenditore dovrebbe puntare all’interesse nazionale della sua azienda? Ci pensa forse l’italianissimo Marchionne quando delocalizza la produzione all’estero? Per quale motivo il Bernabè di turno dovrebbe avere a cuore non il profitto della sua azienda privata, ma l’interesse nazionale da difendere? E in cosa cambierebbe se l’azienda passasse in mani spagnole? Accadrebbe questo: che i profitti generati dal controllo dell’azienda, invece di finire in tasca dell’imprenditore italiano finiscono in quelle dell’imprenditore spagnolo. Cosa cambia dunque per il tanto citato “interesse nazionale”? Nulla.

Stesso discorso vale per Alitalia. Questa già da anni non è più la “compagnia di bandiera” (per esserlo dovrebbe essere di proprietà dello Stato), ma un’impresa privata in mano ad una cordata di imprenditori guidati da Matteo Roberto Colaninno. E’ di fatto già transnazionale. Per quale motivo il suo prossimo passaggio in mani franco-olandesi dovrebbe nuocere all’interesse nazionale? Il ministro Lupi chiederà oggi al  suo omologo francese garanzie occupazionali. Con  quale coraggio la compagnia aerea che in questi cinque anni ha licenziato migliaia di lavoratori chiede ora garanzie di non licenziare ulteriore personale? Perché la proprietà francese non dovrebbe continuare laddove quella italiana ha già dato prova d’estrema efficienza capitalista? Cosa cambia per l’interesse dei lavoratori la provenienza della lettera che ne stabilirà arbitrariamente il licenziamento?

L’interesse nazionale, se di questo vogliamo parlare, è stato intaccato all’origine, col processo di privatizzazioni avviato dai governi di centrosinistra negli anni novanta. Che questi oggi si dispiacciano per il passaggio di consegne, non cambia di una virgola il fatto di come tutto questo dibattito sia solo fumo negli occhi. Perché la borghesia, così come il proletariato, sono classi prive di confini nazionali. Ogni vantaggio, in termini di classe, lo è immediatamente per tutti i propri appartenenti. Al di là dei confini nazionali. Questa pantomima può andare bene per qualche rigurgito nazionalista in vena di scherzare sulla perdita di sovranità, non certo per chi ragiona in termini di classe. La Telecom insomma, così come tutte le altre aziende statali privatizzate, sono da decenni ormai straniere. Con buona pace dei D’Alema di turno.