DICONO I LIBRI

Di te so molte cose, anche di quando eri ragazzino. So, per esempio, che hai brindato all’assassinio di Calabresi: chissà, forse oggi te ne vergogni un po’ e comunque non credo che l’andresti a raccontare in giro, a meno di garantirti l’anonimato, come ti propongo io.

Intanto, se me la trovassi davanti, le risponderei che sono già anonimo, senza bisogno di alcuna concessione. Non lo sono per lei, ma per tutti gli altri sì. E poi perché mi dovrei vergognare di aver bevuto un calice di vino alla memoria di Pinelli? O di aver creduto, e continuo a farlo, che in qualche modo fosse stata fatta giustizia, più o meno “proletaria”? Dico “più o meno” perché mi sa che i nostri, con quella storia, non c’entrassero un bel niente, tanto meno quelli incastrati con la precisa volontà di farlo. Per me non ha alcuna importanza sapere chi, e per quale ragione, abbia sparato quel mattino a Milano. Per me ha importanza solo il risultato: uno a uno e palla al centro, e al diavolo le accuse di cinismo, gli inviti a chiedere perdono e il pietismo di trent’anni dopo, quando tutti fingono d’essersi scordati il clima di quegli anni. I morti sono morti, i nostri e i loro, e per di più non siamo stati noi a cominciare.

da “L’amore degli insorti”
di Stefano Tassinari
Marco tropea Editore