«Da qui non ce ne andiamo». I richiedenti asilo di via Visso e il trasferimento a Casale San Nicola

Ritorniamo sui recenti fatti di Casale San Nicola, chiedendoci: ma chi c’è dall’altra parte? Chi sono questi «profughi» di cui tutti i giornali parlano? Come ha chiarito il prefetto Gabrielli, a dover essere trasferiti nella ex scuola Socrate sono alcuni «richiedenti asilo», provenienti da San Basilio. Già questo dovrebbe far suonare dei campanelli di allarme sulla non aderenza alla realtà dei timori che il loro trasferimento suscita: si tratta, infatti, di richiedenti asilo che da mesi vivono nel campo di accoglienza di via Visso, una traversa della Tiburtina dopo Rebibbia. Non si tratta di «nuovi venuti», di uomini sbarcati di recente, di orde di barbari alle porte della benestante località vicino La Storta, come vorrebbero far pensare Cpi e la cricca di fascisti e di borghesi che si sono opposti al trasferimento a Casale San Nicola, ma di persone che da mesi vivono  in un’altra zona di Roma senza aver avuto il minimo attrito con la popolazione locale: rimane quindi un mistero perché, secondo gli abitanti della zona di Casale San Nicola, giunti lì dovrebbero trasformarsi in mostri assetati di sangue. Non che se fossero nuovi arrivati in Italia le nostre considerazioni sarebbero diverse, ma il fatto che non si spieghi mai la loro situazione, che vengano depersonalizzati – spesso dietro l’oscura definizione di «profughi», che richiama l’immagine di persone vestite di stracci in fuga con tutte le loro masserizie –  la dice lunga sulla mistificazione che si cela dietro tutta questa storia. Una mistificazione che mira a creare tensioni sociali e attriti, creando un buon bacino di voti per una destra e una estrema destra già da mesi proiettate verso le prossime elezioni comunali. Insomma: prendi un gruppo di giovani uomini immigrati ma integrati in un quartiere, dall’esistenza precaria perché da mesi in attesa di una risposta sulla richiesta di asilo, provenienti da un contesto di persecuzioni e guerre in cui hanno lasciato i loro cari, e sbattili in un quartiere della media e alta borghesia che non li vuole e li disprezza, prendendoli a sassate e opponendosi anche alla semplice prospettiva di dividere la loro aria con degli immigrati. Shakera tutto e vedi cosa succede: chi ne guadagnerà elettoralmente? Poi ci parlano di problemi di ordine pubbico.
Coloro che dovrebbero essere trasferiti a Casale San Nicola, quindi, sono persone perseguitate nei loro paesi di origine, dove evidentemente non sono rispettati quegli stessi diritti umani nel nome dei quali paesi imperialisti come l’Italia, sostenuti da un allegro carrozzone su cui salgono, in cerca di vantaggi economici, tanto la borghesia illuminata che si finge desiderosa di portare «civilizzazione», quanto la borghesia nazionalista fautrice di concezioni razziste e volontà di potenza, esportano da secoli guerre in tutto il mondo. Sono persone che fuggono da guerre, malattie, povertà: gli stessi che, fino a pochi anni fa – sono tutti giovanissimi – probabilmente assomigliavano ai bambini con gli occhioni tristi nel nome dei quali la chiesa cattolica chiede l’8 per mille o altre associazioni promuovono l’adozione a distanza. A distanza, appunto. Perché non sia mai che i dannati della terra, impoveriti dai furti, dalle guerre e dallo sfruttamento impostigli dall’Occidente, irrompano nella metropoli. A quel punto, diventano problemi di ordine di pubblico, pacchi da allontanare dagli occhi e dal cuore, intralci alla vita serena della borghesia costruttrice di villette abusive. Una borghesia rappresentata nella zona di Casale San Nicola, leggiamo su corriere.it, da persone come «Luciano Lupi, manager in pensione, 77 anni, uno dei primi a costruire la propria villa in questo consorzio abitato da borghesia media e anche alta, uno dei coloni che, negli anni Settanta, superarono le siepi all’epoca prestigiose dell’Olgiata e risalirono la via Braccianese». Un pioniere dell’abusivismo edilizio e della distruzione dell’agro romano, insomma, che dà lezioni di civiltà.
Nel dettaglio, i ragazzi ospitati da mesi nel centro di via Visso sono arrivati in Italia, principalmente dal Mali, dal Senegal, dal Gambia, dieci mesi fa e hanno subito chiesto l’asilo politico: nei paesi di provenienza, infatti, tanto loro quanto i loro famigliari sono vittime di arresti e uccisioni arbitrarie.
Le istituzioni dovrebbero pronunciarsi velocemente su queste richieste (vedi): così non è e da mesi essi vivono nel centro di accoglienza di via Visso dove, nonostante le condizioni non certo ottimali in cui sono costretti ad abitare, hanno costruito dei legami sociali tanto tra di loro quanto col quartiere e con i militanti politici e gli attivisti sociali che svolgono la loro attività nella zona. In tutto questo, aspettano ancora che la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale li chiami per il colloquio: esso dovrebbe avvenire, per legge, entro 30 giorni dalla presentazione della domanda; più spesso passano mesi, se non anni.
Alla «popolazione» della zona di Casale San Nicola – e in realtà, più che altro, a tutta la variopinta galassia del neofascismo romano (da Fratelli d’Italia a Casapound, da Militia alla neocoppia costituita da Forza Nuova e dal Movimento sociale di Giuliano Castellino) – sono stati dati ben tre mesi di tempo per organizzare e dare una parvenza di presentabilità alla loro xenofobia: da maggio (vedi), infatti, si parla della creazione del centro per immigrati, con Fratelli d’Italia fin da allora in prima fila contro di esso. Sia sufficiente pensare, poi, che la nuova creazione dell’eclettico Giuliano Castellino – al momento alleato con Forza Nuova, ma chissà che la psicopatologia che lo porta a cambiare alleanze e linee politiche una volta ogni 3-4 mesi non ci riservi colpi di scena –, «Nessuno tocchi il mio popolo», ha fatto in tempo a creare un finto campo profughi per italiani, in supposta emergenza abitativa, proprio davanti alla scuola ex-Socrate di Casale San Nicola (vedi), in opposizione alla ventilata ipotesi di farla diventare un centro per gli immigrati: oggi che siamo giunti al momento del trasferimento possono quindi dire «Ma come? Abbiamo i profughi italiani e voi fate il campo per gli stranieri?!». Una strumentalizzazione dell’emergenza abitativa, che in questa città colpisce tanto gli italiani quanto gli stranieri, davvero notevole, insomma.
Ai richiedenti asilo di via Visso, invece, è stato comunicato l’imminente trasferimento con sole poche ore di anticipo: visti come oggetti da spostare qui e lì, nessuno li considera persone con dei legami, degli affetti, una vita sociale fatta di corsi scolastici, istruzione, lavoro, percorsi di inserimento sociale. O forse, più probabilmente, sono proprio questi legami che si vogliono ostacolare, perché l’unione fa la forza, mentre i trasferimenti continui – come la storia della carcerazione insegna – indeboliscono la resistenza e la lotta per i propri diritti. Spostarli a oltre 40 km di distanza – tanto distano via Visso e la zona di Casale San Nicola – è sembrata una soluzione.
La novità, in questo caso, è che i richiedenti asilo hanno detto no. Hanno detto che non se ne vogliono andare da via Visso, che non vogliono essere trasferiti in una località fuori Roma, collegata con la città in modo a dir poco insufficiente, dove non sono voluti e la loro stessa esistenza viene messa in pericolo. I mesi trascorsi vivendo fianco a fianco li ha trasformati in una comunità che decide autonomamente quello che sia meglio per sé: fenomeno per molti “bianchi” incomprensibile e pericoloso, quello degli “uomini neri” che prendono decisioni, scelgono e intraprendono percorsi di resistenza senza che ci sia alcun “bianco” a spiegargli cosa sia meglio fare. Hanno deciso, dunque, di rifiutare il trasferimento. Il ribaltamento della questione è evidente: non sono i richiedenti asilo a non essere voluti a Casale San Nicola, ma sono essi stessi che non vogliono andarci, che rifiutano di avere a che fare con quella zona e coi suoi abitanti. Il cambiamento di prospettiva è evidente: gli immigrati non considerano loro stessi dei pacchi e decidono sul loro futuro. Niente potrebbe essere più spaventoso per la borghesia, impegnata nella descrizione biografica, sui giornali, dei poliziotti, dei neofascisti e dei «cittadini del quartiere» che hanno aggredito i pullman che trasportavano gli unici 19 ospiti di via Visso che avevano accettato il trasferimento.
I richiedenti asili che non si vogliono trasferire, già ieri mattina, hanno diffuso una lettera aperta, che riportiamo:

 

Spettabili signori e signore,
é un grande piacere e onore per noi scrivervi cosa ci affligge. Crediamo che ci possiate sinceramente aiutare a raggiungere Pace e Giustizia.
Innanzitutto, noi siamo qua per cercare asilo internazionale: questo è quanto ci è stato promesso. Nel posto in cui ci vogliono portare, invece, c’ è stata una manifestazione contro i migranti in questi giorni. C’ è seriamente il rischio che lì qualcuno ci possa ferire gravemente o addirittura uccidere.
Non possiamo e non vogliamo andare in un posto in cui la nostra vita è messa in pericolo.
Ognuno di noi ha seri problemi nel proprio paese di origine: alcuni sono stati imprigionati, altri minacciati di morte.
Inoltre, ci era stato detto che prima avremmo avuto la nostra commissione (il colloquio per ottenere l’asilo) e dopo ci avrebbero trasferito. Invece non abbiamo ancora avuto la commissione e ora loro vogliono spostarci in un altro posto.
Noi non ci trasferiremo senza aver avuto la commissione. Chiediamo a tutta la comunità di aiutarci a risolvere questo problema.

Come dimostra questa lettera e come giustamente afferma il comunicato dei compagni del Nodo territoriale Tiburtina riportato qui sotto, la situazione del richiedente asilo è un vero e proprio limbo legislativo. Anche all’interno di questa confusione legislativa, aggravata dai cronici ritardi nel disbrigo delle pratiche, vengono tuttavia riconosciuti ai richiedenti asilo alcuni diritti: tra tutti, il principio di non respingimento e il divieto di espulsione (vedi). I richiedenti asilo hanno un permesso di soggiorno temporaneo, rinnovabile fino alla decisione della commissione sulla domanda di asilo. Esso concede il diritto di permanere in Italia, di usufruire dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione scolastica per i minori (vedi). Essi sono, quindi, a tutti gli effetti uomini liberi, non costretti ad alcun obbligo abitativo e ad alcuna reclusione (a meno che non abbiano compiuto i reati che la prevedano), che non possono essere obbligati a trasferirsi in un posto o nell’altro. I motivi di esclusione per «non meritevolezza» dello status di rifugiato, inoltre, riguardano solo l’aver commesso crimini contro la pace o contro l’umanità, reati particolarmente crudeli o il fatto che il richiedente possa costituire un pericolo per la sicurezza dello Stato o per l’ordine e la sicurezza pubblica, essendo stato condannato con sentenza definitiva per  gravi reati come devastazione, saccheggio e strage, guerra civile o associazione mafiose. La valutazione della richiesta di asilo e dello status di rifugiato, infatti, si basa su tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine e sul rischio di subire persecuzioni o danni gravi, non sulla condotta qui in Italia. La resistenza a un trasferimento a cui non si è obbligati non è, quindi, motivo di esclusione valido per la concessione dell’asilo politico. E proprio il limbo legislativo a cui sono costretti – durissimo a livello psicologico e sociale – consente ai richiedenti asilo, consapevoli dei loro diritti e risoluti nelle loro scelte, di poter scegliere di avere una visibilità e di mettere in campo una resistenza superiori, ad esempio, a quelle degli immigrati clandestini: con le dovute e necessarie cautele, ovviamente, perché il limbo legislativo è così elastico e la precarietà della loro permanenza in Italia così elevata che il pericolo è in agguato.
«Da qui non ce ne andiamo»: sono queste le parole su uno degli striscioni che danno il benvenuto al presidio permanente diurno che da ieri è stato organizzato – dai ragazzi di via Visso e dai compagni del Nodo territoriale Tiburtina – nei pressi del Centro affinché i ragazzi abbiano la possibilità di comunicare le loro ragioni. Pubblichiamo di seguito il comunicato del Nodo territoriale Tiburtina e rinnoviamo il loro appello a passare al presidio e diffondere la giusta immagine dei fatti.

COMUNICATO SUI FATTI DI CASALE SAN NICOLA E VIA VISSO

Ci risiamo. La storia, purtroppo, si ripete, e ci troviamo oggi ad affrontare l’ennesimo sopruso sulla pelle dei migranti a meno di due mesi di distanza dallo sgombero di Ponte Mammolo, l’ultimo grave  episodio nel quadrante tiburtino in materia di “accoglienza”.
La “rivolta” di Casale San Nicola ha, infatti, una genesi molto più ampia e articolata di quanto non sia apparso nel solito circo mediatico che, dolosamente, continua a mettere al centro della narrazione solo la parte utile a fomentare la xenofobia e l’odio razziale. Protagonisti della vicenda le amministrazioni e i soliti “comitati” di quartiere, strumentalizzati da razzisti e fascistoidi vari per soffiare sul fuoco dell’emergenza e dirottare sull’immigrato cariche di rabbia altrimenti pericolose per il potere costituito.
Ma andiamo con ordine. A settembre 2014 sbarcano in Sicilia, tra le migliaia di altri, 60 ragazzi provenienti da Gambia, Senegal, Mali. Dopo pochi giorni di permanenza nei centri locali vengono trasferiti a Roma, insieme a un gruppo di pakistani e bengalesi, in una struttura a via Visso, sulla Tiburtina, dove sarebbero dovuti rimanere temporaneamente fino al colloquio con la Commissione giudicante lo status di rifugiato. La data di tale colloquio, tuttavia, rimane vaga per lunghi mesi, durante i quali i ragazzi iniziano a vivere attivamente il territorio in cui sono inseriti: chi lavorando, chi iscrivendosi a scuola, chi frequentando gli spazi sociali del quartiere attraverso corsi di italiano e altre attività. Lentamente iniziano a fare comunità, a integrarsi tra loro e con l’esterno, a uscire sempre più dal ghetto che viene costruito intorno alla figura del migrante.
Nel frattempo, a maggio inizia a circolare la voce che verrà aperto un nuovo centro di accoglienza sulla Cassia, all’incrocio tra La Storta e la Braccianese. Sull’onda di quanto già successo a Tor Sapienza subito si attivano gli abitanti del quartiere che, fomentati da Casapound e le solite destre romane, occupano simbolicamente l’ex scuola che dovrebbe ospitare il centro e istituiscono un presidio permanente di protesta.
Pochi giorni fa, le due vicende si sono intrecciate in un disegno che ha ben poco di casuale. Ai ragazzi di via Visso viene comunicato, con sole 48 ore di anticipo, lo spostamento nell’edificio in questione, a decine di chilometri da dove hanno iniziato, tra mille difficoltà, a crearsi un’esistenza minimamente dignitosa. La motivazione ufficiale, peraltro tenuta nascosta fino all’ultimo, è il cambio di cooperative nell’appalto per l’accoglienza dei ragazzi, nell’ambito della riorganizzazione seguita a Mafia Capitale e al rapporto del prefetto Gabrielli. Da subito i ragazzi, che dunque dovrebbero essere spostati come pacchi postali senza minimamente essere interpellati, esprimono la ferma volontà di non volersi muovere verso la nuova collocazione, non volendo rinunciare ai percorsi già avviati e rifiutando di essere pedine di un meccanismo che trae profitto dalla loro deportazione. Tuttavia, la condizione di ricatto in cui versano a causa della richiesta d’asilo, un vero e proprio “limbo” giuridico, non consente loro di agire liberamente, poiché qualsiasi comportamento anche solo ai limiti della legalità potrebbe compromettere la richiesta stessa.
Accade così che la mattina di venerdì, sotto la minaccia di pregiudicare il parere della commissione d’asilo e di non ricevere più il “pocket money” e i pasti, il primo gruppo di ragazzi accetta a malincuore di andare a Casale San Nicola. Al loro arrivo trovano ad attenderli un centinaio tra residenti e fascisti inferociti, che tentano di opporsi fisicamente al passaggio del pullman dando vita ad un comico teatrino con le forze dell’ordine. Da qui inizia la narrazione tossica dei mass-media che, in un gioco delle parti già visto, trasformano la protesta, per quanto veemente, di qualche decina di persone in un evento di respiro nazionale con scontri e feriti.
E’ ormai evidente che non si tratta di casi isolati o di episodi di cronaca ordinaria, ma di strumenti che mirano a contrapporre soggetti vittime dello stesso sistema di sfruttamento quotidiano come i migranti e gli abitanti delle periferie. Nel solo quadrante tiburtino esistono decine di Centri SPRAR, CPT, CARA dove centinaia di persone vivono assiepate per mesi o anni senza un briciolo di prospettiva, incastrati nei meccanismi dello status di rifugiato, della richiesta d’asilo, di procedure europee che hanno il sapore di un lavaggio d’immagine rispetto agli interventi imperialisti che manu militari l’Occidente continua a perpetrare nei Paesi di provenienza dei profughi. L’unica risposta delle amministrazioni a un flusso migratorio sempre più imponente sembra essere quella che stiamo vedendo a Ponte Mammolo prima e a via Visso poi, con l’intento di trattare i migranti unicamente come problema di ordine pubblico finalizzato al mantenimento dell’emergenza e, dunque, alla speculazione su di essa da parte del sodalizio governanti-cooperative.
Per denunciare tutto questo abbiamo dunque deciso di dare vita a un presidio permanente diurno nei pressi del Centro, a cui invitiamo tutti e tutte a passare, affinché i ragazzi abbiano la possibilità di comunicare le loro ragioni e smascherare l’enorme quantità di bugie dette a loro insaputa.

NON CI CASCHIAMO
PIU’: IL VERO DEGRADO SONO POLITICI E AFFARISTI CHE
SPECULANO SULLA PELLE DEI MIGRANTI E DEI QUARTIERI!

Presidio Solidale Via Visso