This mustache kills fascists

This mustache kills fascists

Eccolo qua un possibile Woody Guthrie dei nostri tempi, oltre alla chitarra sfoggia un paio di folti baffi all’insù. Ma facciamo qualche passo indietro per andare a vedere dove comincia questa storia.

Chernobyl 1986, Ucraina. La temperatura del nocciolo del reattore numero 4 della Centrale nucleare innesca una grandissima esplosione che genera una nube di materiali radioattivi. Il vento li sospinge a zonzo per mezza Europa.  Eugene Hutz scappa con la sua famiglia dalla provincia di Kiev attraversando, nel giro dei tre anni seguenti, Polonia, Ungheria, Austria e Italia. Nella terra dei cachi resta qualche mese in attesa del visto per gli Stati Uniti e viene arrestato perché confuso dalle autorità italiane con uno zingaro “che aveva rubato qualcosa”.  Ancora non sa che di lì a qualche anno questo episodio diventerà una canzone, Santa Marinella. Ancora non sa che a cantarla in tour per tutto il mondo sarà lui, con i Gogol Bordello.

Santa Marinella

I Gogol Bordello si formano a New York nel 1993 ma il dato geografico assume importanza solo perché, per gli emigranti della prima metà degli anni ’90, il fascino della grande mela e il sogno dello sbarco in America era nella sua epoca d’oro. Così, ad Eugene Hutz, nel corso del tempo, si uniscono un violinista russo ed ex direttore di un teatro moscovita, un altro russo alla fisarmonica, un chitarrista israeliano, un bassista etiope, un batterista statunitense,  una seconda voce ecuadorena e due percussioniste, una scozzese e l’altra di origine caucasica. Una ciurma di filibustieri multietnica che sembra l’armata Brancaleone.
Ieri sera ci siamo trovati all’Atlantico di Roma per l’unica tappa italiana di uno dei loro interminabili tour, più di 200 date all’anno. Il concerto è stato un vero e proprio spettacolo di bizzarria e arte varia a cavallo tra musica, circo e teatro dove questa sorta di carovana gitana si è esibita energicamente per due ore piene . Il sound e i temi trattati nelle canzoni non possono che essere il frutto di una vita da emigranti, così il sound è un frullato di musica tzigana, punk rock, folk, reggae, hip hop, ska,  e propone una connessione ideale tra tutte le forme di musica ribelle. I testi, che talvolta possono apparire strambi e visionari, affrontano i temi dell’esclusione sociale e dell’integrazione, dell’ingiustizia e della ribellione, dell’amore e della speranza. Sono cantati in lingua romanì, russa, inglese, italiana e spagnola tanto per non fare un torto a nessuno. Paragoni con altri artisti se ne possono fare tanti, Pogues, Manu Chao, Clash, ma nessuno riesce a calzare a pennello. Ci si avvicinano tutti ma da prospettive differenti, forse sarebbe fin troppo complesso ricercare le radici di questo melting pot.

Wonderlust King durante un concerto

http://www.youtube.com/watch?v=jXPJSjMrXBI

Non vi resta che accaparrarvi l’ultimo disco, Trans-Continental Hustle, e ascoltarli con le vostre orecchie. Se, giunti alla fine, vi girerà la testa sarà probabilmente perché avrete fatto il giro del mondo in una mezz’oretta scarsa.

“We gonna build new kind of globalizer Without pantzer-foust or a shmiser and may the sound of our contaminated beat sweep all the Nazi purists off their feet