Roma-Lido: un treno chiamato desiderio

Roma-Lido: un treno chiamato desiderio

“Per sistemare e potenziare la Roma-Lido servirebbero quasi 200 milioni di euro. In questo momento né il Comune di Roma né tantomeno l’Atac sono in grado di fare questo investimento per cui, visto che non ci sono i soldi, converrebbe regalarla a chi dispone di questi capitali, così almeno la farebbe funzionare”. Sono più o meno queste le parole che qualche settimana fa i pendolari hanno sentito pronunciare da Stefano Esposito, all’epoca assessore ai trasporti, intervenuto ad una loro assemblea. Per chi ci legge e non è di Roma stiamo parlando della linea ferroviaria che collega il centro della città con tutta una serie di quartieri periferici, fino ad arrivare ad Ostia. Inaugurata nel 1925 dal bungee jumper pelato dopo oltre 90 anni la frequenza e il tempo di percorrenza sono rimasti sostanzialmente gli stessi, mentre tutto intorno crescevano quartieri popolosissimi e insieme a loro i disagi di chi quotidianamente deve prendere quel treno per andare a lavoro o a scuola. Negli ultimi mesi la tratta che collega Roma al mare è assurta alle cronache nazionali finendo per diventare il paradigma dello stato penoso in cui versa il trasporto pubblico nella capitale: corse che saltano di continuo e che costringono a viaggiare stipati come sardine; vetture che si rompono lungo il tragitto costringendo centinaia di persone a raggiungere a piedi, camminando sui binari, la stazione successiva; vagoni con i finestrini sigillati perché progettati per un’aria condizionata che spesso non funziona; gente che si sente male… Un dissesto che viene quotidianamente denunciato dai blog messi in piedi dagli stessi pendolari (vedi) e che è però servito, col più classico degli schemi, a legittimare il progetto di privatizzazione  di  quote sempre più consistenti del trasporto pubblico. Crediamo che questo impianto neoliberista che, come dimostrano le parole dell’ex assessore, viene sempre più spesso mascherato da “buon senso” e che poggia sul presunto dato di fatto che “i soldi non ci sono”, debba essere completamente ribaltato provando ad imporre il nostro punto di vista: quello dei lavoratori, dei pendolari e dei cittadini che quotidianamente usufruiscono del servizio. Partendo da alcune semplici considerazioni.

La privatizzazione non è mai la soluzione.
Il trasporto pubblico è un servizio sociale che deve garantire a tutti il diritto alla mobilità, e come tale non sta scritto da nessuna parte che debba operare in una logica di mercato, producendo utili o puntando al pareggio di bilancio. E’ vero l’esatto opposto, ossia che anche quando è “economicamente sconveniente” il servizio dev’essere comunque assicurato e questo può avvenire solo se rimane saldamente in mano pubblica.  Connesse al trasporto pubblico esistono poi tutte una serie di esternalità positive che difficilmente possono essere contabilizzate nei bilanci di un’azienda. Come si fa a calcolare in termini di profitto l’incidenza dell’inquinamento atmosferico e delle relative patologie ad esso collegate? Oppure la qualità della vita di chi passa la propria giornata congestionato nel traffico? O ancora il peso dei tempi di spostamento di chi attraversa la città per andare a lavorare? Non è vero poi che i soldi non ci sono, è solo che vanno cercati nei posti giusti. Ad esempio nei conti correnti dei palazzinari che hanno cementificato le periferie di Roma accumulando fortune con rendita e speculazione.
Pubblico è meglio, sempre.
L’altro luogo comune da smontare è quello che vedrebbe il privato comunque più efficiente del pubblico. Si tratta, come dimostra la storia delle privatizzazioni nel nostro Paese, di un vero e proprio falso ideologico frutto di una controrivoluzione culturale portata avanti negli ultimi decenni dalle classi dominanti. Eppure la realtà, quella concreta non quella che ci viene raccontata, ci dice altro. Dalle telecomunicazioni alla sanità, dalle assicurazioni alle “utilities” l’ingresso dei privati ha significato solo il peggioramento dei servizi e il rincaro dei costi. Senza andare troppo lontano basta guardare a come viene gestito dalla TPL Scarl il 20% (quasi tutto in periferia) del trasporto su gomma a Roma: corse che saltano, mezzi fatiscenti, servizio scadente. Per non parlare del fatto che i lavoratori non prendono lo stipendio da agosto…
I veri resposabili.
C’è infine un altro inganno che va disarticolato pezzo per pezzo, ed è la contrapposizione artificiale che in questi anni è stata fatta tra i cittadini e lavoratori del trasporto pubblico, che vengono indicati dalla classe politica e dai media come i responsabili di ogni disservizio. Una campagna di criminalizzazione che solo negli ultimi 6 mesi ha portato a 23 aggressioni fisiche ai danni di macchinisti e autisti e che serve ad occultare e proteggere i veri responsabili dello stato comatoso in cui versano metro ed autobus a Roma.

Per queste ragioni domani come Carovana delle Periferie, insieme ai comitati dei pendolari e alla Rete dei Comitati saremo in piazza, davanti ai cancelli della Roma –Lido per un’assemblea pubblica che terrà insieme le ragioni di chi su quei treni ci lavora e quelle di chi quei treni li prende per andare a lavorare o a scuola. Non si tratta di un’iniziativa estemporanea ma dell’inizio di una vera e propria campagna cittadina che ci vedrà attraversare tutti gli snodi più importanti della città per provare a costruire una piattaforma di lotta che abbia, tra i suoi punti, anche quello della difesa del traporto pubblico dalla dismissione e dalla privatizzazione ed il rilancio di un piano della mobilità costruito dal basso. La sperimentazione della costruzione di un blocco sociale che sappia farsi opposizione sociale e politica in città. E’ un percorso lungo, lo sappiamo, ma anche la lunga marcia è iniziata con un semplice passo.