Perle elettorali

Perle elettorali

 

Il mese della campagna elettorale: cosa chiedere di meglio alla politica? Confessiamo un malcelato appagamento nel leggere tutte le mattine le ultime dai partiti, dai candidatipremier, e poi i trombati, gli esclusi dell’ultimo minuto, le giravolte dei ripescati, alla ricerca dell’ultimo sondaggio, della dichiarazione più roboante. Una droga, bisogna ammetterlo. «Mi hanno chiesto di candidarmi», «sono candidato a mia insaputa», «è il territorio che me lo chiede». Meraviglioso. E loro ce la mettono tutta nel soddisfare questa perversione, perché di perversione di tratta. Maria Elena Boschi, ad esempio. Dice che sfrutterà il mese di campagna elettorale per imparare il tedesco, d’altronde così simile al dialetto aretino. Non paga della presa per il culo, dichiara il proprio amore per il collegio in cui è stata inserita: «ci vengo sempre in vacanza». Quale altra prova del suo attaccamento alla causa sudtirolese vogliamo ancora?

C’è poi il candidato grillino, fino a un anno fa di stretto rito renziano: «Guardi, era un anno, un anno e mezzo fa. Allora la pensavo così, poi ho cambiato idea. Si può, no?». Certo che si può, anzi, è necessario un certo dinamismo per essere al passo coi tempi della politica social. Chi prenderebbe più sul serio un politico fedele al proprio partito, di questi tempi? Un anno, due, e poi si è in odore di fake news.

Tra le perle, una notizia rimbalzata casualmente come fosse niente. Nessun partito concorrente al Pd schiererà esponenti di rilievo contro Gentiloni, in corsa all’uninominale a Roma. Il motivo è manifesto: Gentiloni non può rischiare di perdere il confronto diretto al maggioritario, altrimenti come si fa a formare un governo con un candidato battuto da una Taverna di turno? Ed ecco che il patto post-elettorale prende forma, l’accordo per non indebolire Gentiloni è già realtà, in attesa di essere ratificato dal pareggio elettorale del 4 marzo. Roma vede il Pd in picchiata elettorale. Non solo Forza Italia o M5S, persino la Lorenzin rischierebbe di vincere contro il Pd, se non ci si fosse alleata scegliendo, come sempre, il cavallo sbagliato nel momento peggiore. Eppure tutti si contendono l’incerta periferia. Il centro, quello è zona di grandi intese. La regola è stata fissata col consenso unanime di governo e opposizione: non disturbare il manovratore al servizio del paese. Non a caso, in Europa nessuno parla più dell’Italia. Non assistiamo al solito dibattito su quando e come falliremo dopo le elezioni, sullo spread in ascesa, sul tracollo economico. In Europa sanno, molto meglio che in Italia, che il governo è già formato. Meglio un pareggio che una chiara vittoria. Perché deluderli?