Nuovi scenari reazionari e nuove prospettive antagoniste

Nuovi scenari reazionari e nuove prospettive antagoniste

 

Ieri a Venezia migliaia di persone hanno sfilato con Giorgia Meloni in testa. Lo stesso popolo leghista, fino a qualche anno fa intontito dalla retorica nordista anti-romana, oggi si affida alla rappresentanza di un personaggio politico romano in ascesa quale Giorgia Meloni e il suo Fratelli d’Italia. Anche lo scontro interno al partito del nord tra Salvini e Tosi ci racconta qualcosa del nuovo soggetto reazionario. La retorica secessionista funziona, paradossalmente, quando le cose “vanno bene”, quando ci sono prospettive di ricchezza e l’idea di poterne avere di più “stando da soli”, scrollandosi il carrozzone unitario che lega i territori più ricchi a quelli più poveri. Ma in fase di perdurante ridimensionamento economico la fuffa secessionista non attira più: anche per la “gente comune” confusa dai miraggi scissionisti il problema diventa la difesa del salario, del posto di lavoro, insomma la possibilità di immaginare il futuro quantomeno simile al presente. La prospettiva di un arretramento economico sfronda la politica di molte sue sovrastrutture politiciste, lasciando sul campo unicamente quelle forze che sembrano poter risolvere il problema economico della popolazione. La crisi, insomma, riporta il discorso politico alla sua essenza, lo riconduce al suo rapporto col materiale. E questo scenario non a caso premia quelle visioni che sanno dare una speranza a una parte di popolazione. Lo scontro interno alla Lega non è più causato dal grado di secessionismo insito alle varie anime. Oggi, incredibilmente, a nessuno nella Lega Nord verrebbe in mente di riprendere l’armamentario localista. Anche quel Veneto da sempre terra di pulsioni anti unitarie oggi sfida il segretario leghista non sulla linea federalista, ma su un discorso nazionale che vorrebbe legarsi ad una prospettiva di centrodestra più credibile che non quello sovranista e xenofobo rappresentato da Salvini e Borghezio.

In questo senso, insolitamente, la sinistra di classe sta riuscendo nell’impresa di influire sulle dinamiche politiche generali. La campagna contro la manifestazione leghista a Roma, nel frattempo allargatasi al resto d’Italia, ha avuto il merito di smascherare lo sdoganamento neofascista operato da Salvini, causandogli più di qualche problema. Se addirittura Marine Le Pen sente il bisogno di prendere le distanze dagli alleati scomodi leghisti, questo certifica una nostra piccola vittoria. Bisogna però chiarire che Salvini non è un politico (neo)fascista. Non è il fascismo il problema della nuova Lega, quanto il suo progetto reazionario, la possibilità cioè di organizzare una parte del mondo del lavoro dipendente salariato attorno ad una visione liberista autoritaria scambiata per “opposizione” rispetto alle linee politiche del governo e della UE. Il medesimo discorso riguarda il M5S, oggi in fase declinante ma per qualche tempo forza di “distrazione di massa” populista capace di iscrivere il rifiuto verso un certo sistema politico nei canali della pacificazione ammantata da un certo radicalismo parolaio onnicomprensivo.

La manifestazione di sabato scorso non è stata allora una manifestazione “antifascista”, e ridurla a quella dinamica depotenzierebbe un discorso che per la prima volta da anni riesce a parlare a una parte importante della società. Non è stata neanche una manifestazione “antirazzista”, e anche in questo caso ridurla ad un confronto tra xenofobia e antirazzismo non solo limiterebbe le potenzialità politiche di quella massa popolare, ma ridurrebbe le speranze di saper parlare a un pezzo importante di società che non è razzista ma allo stesso tempo, in assenza di diversi strumenti politico-culturali, percepisce lo straniero come concorrente diretto per le proprie sorti lavorative. Certo è stato tutto questo: antirazzismo e antifascismo sono due questioni visceralmente presenti nella protesta anti-leghista, ma non sono il cuore politico, la ragione di quella mobilitazione, e questo fatto non andrebbe confuso per il lavoro futuro.

Salvini e la Lega Nord sono lo strumento attraverso cui dovremmo saper trasmettere un messaggio politico, specificare cioè le differenze tra un’opposizione di classe e una funzionale al sistema liberista europeista attuale. Anche maneggiando gli stessi argomenti, anche avendo il coraggio e la spregiudicatezza di affrontare il piano del discorso leghista. Non è un confronto-scontro in senso antifascista il futuro della mobilitazione anti-Lega, quanto quello di ricostruire le basi per essere credibili nella società nella fase in cui questa vuole sentire risposte credibili e concrete al suo permanente arretramento economico e sociale. Avere allora la volontà e la capacità di essere maggioritari, riuscendo a parlare ad una platea più vasta della nostra ristretta cerchia di amici e parenti, dovrebbe essere il lascito più fecondo della mobilitazione del 28 febbraio, togliendo alle destre più o meno mascherate il monopolio della lotta al governo Renzi e alla sua politica, assolutamente trasversale, di stabilizzazione liberista del nostro paese all’interno dei vincoli imposti dalla UE. Questo il campo dove giocare e dove spendere la nostra credibilità, anche rischiando.