Manolo e Costantino, accusati di niente

Manolo e Costantino, accusati di niente

“Non risulta in alcun modo provato qualche intervento di carattere operativo, o anche solo di disponibilità o di supporto, da parte dei due indagati alle imprese criminose attuate o progettate dal gruppo”: quanto scritto dai giudici della Corte di Cassazione (e reso pubblico proprio in questi giorni) sembra piuttosto netto, no? I due imputati (per la cronaca, stiamo parlando dei compagni Costantino Virgilio e Manolo Morlacchi) non hanno fatto niente per meritare due imputazioni (“banda armata”, “associazione sovversiva”) che non dovrebbero essere attribuite tanto a cuor leggero, vista la gravità. Né il fatto che abbiano frequentato altri compagni accusati “di voler rilanciare la strategia della lotta armata in Italia” (addirittura…) giustificava un’imputazione del genere. Gli inquirenti, insomma, avrebbero proceduto “per semplici illazioni”. Certo, a voler essere sospettosi (ma anche a leggere gli atti, in realtà), si potrebbe pensare che tali illazioni erano incentivate da un motivo “politico”: l’aver scritto, da parte di Manolo Morlacchi, il libro “La fuga in avanti. La rivoluzione è un fiore che non muore” (edito da AgenziaX e mai abbastanza consigliato anche da questo blog), nel quale l’autore percorreva la storia della sua famiglia e l’esperienza politica di Pierino Morlacchi (“uno dei fondatori delle Brigate Rosse”, secondo la litania che accompagna sui giornali ogni articolo che parli di Manolo e Costantino). Non solo, lo “sfacciatissimo” Manolo Morlacchi aveva scritto quel libro “senza prendere le distanze” dall’esperienza del padre. Una colpa gravissima, evidentemente, in un Paese, nel quale è stato deciso che la memoria collettiva deve cancellare gli anni Settanta. Un Paese nel quale l’unico passato da rievocare – e a cui ammiccare compiaciuti – è quello delle camicie nere e delle ridicole marcette. Comunque, da quando Manolo Morlacchi ha scritto il libro di cui sopra sono cominciati i suoi guai con la legge. Per non parlare del fatto che a un certo punto ha avuto anche l’ardire di andare in giro a fare presentazioni del libro, lo “scostumato”. Sicuramente (è stato scritto pure questo, non è un’invenzione) per prendere contatti per questa famosa associazione sovversiva, banda armata e quant’altro. La stessa Cassazione ha stabilito che l’abitudine a criptare dei file o a prendere “particolari cautele” nell’incontrare gli altri compagni non può essere DI PER SE’ un motivo per addebitare a qualcuno una banda armata (secondo abitudini oggi assurdamente consolidate, basti pensare a quante ne hanno passate i compagni di Iniziativa Comunista). Anche perché – piccolo e insignificante particolare – questa banda armata non esiste, nel senso che non ha mai operato, a parte un attentato simbolico (peraltro fallito) a una caserma livornese, attribuito dagli inquirenti a questo gruppo di compagni. A questo punto facciamo una piccola digressione: fin troppo spesso, anche per accuse fortunatamente meno gravi di quelle piombate sui due compagni (ma comunque sempre antipatiche) gli inquirenti stanno prendendo l’abitudine di addebitare ai compagni imputati fatti apparentemente insignificanti (come l’avere il cellulare spento in un determinato momento o il non possedere proprio un cellulare), come se fossero testimonianze di un’attività cospirativa. Ci chiediamo: ma l’onere probatorio non dovrebbe spettare a chi accusa? Nel senso che gli inquirenti non dovrebbero trovare prove per giustificare i loro teoremi?!? Sì, ma è come se dicessero: “Però se tu imputato non mi permetti di trovarle – perché tieni il cellulare spento – allora io come posso farti condannare?!” In effetti il ragionamento fila… Insomma, o le prove ci sono oppure non ci sono perché l’inquirente ha faticato tanto per trovarle ma tu le hai nascoste, bastardo e testardo comunista… Tanto il risultato è lo stesso: capi di imputazione pesantissimi, che poi solitamente cadono durante il processo, ma intanto producono mesi di detenzione. Perché – e ci sembra importante ricordarlo – Costantino e Manolo sono stati detenuti in prigione da gennaio fino a giugno di quest’anno, sulla base di un edificio accusatorio che la Cassazione ha poi demolito in maniera netta. Ma chi li ripaga dei mesi in carcere? Chi li ripaga del linciaggio che hanno subito quando uscì la notizia del loro arresto? I nomi scritti per esteso, addirittura l’indicazione dell’indirizzo di casa, il lavoro perso, la gogna pubblica. Questo blog ha scritto e manifestato per la liberazione di Costantino e Manolo, per la cessazione della loro vicenda kafkiana, per interrompere la caccia alle streghe con la quale il sistema politico continua a distogliere l’attenzione dalla crisi reale del Paese, adombrando il fantasma del terrorismo interno (e di quello esterno). Ovviamente la giustizia italiana non si rassegna a lasciare in pace Costantino e Manolo: il 16 settembre inizia il processo che li vede coinvolti insieme ad altri compagni, tutti accusati di quanto sopra. Anche in questo caso vi terremo aggiornati.