L’IMU e i comunisti

Il dibattito politico attuale rischia di tagliare fuori la possibilità di un proprio punto di vista autonomo, slegato cioè dall’accodarsi a questa o quella opinione o linea politica elaborata da altri. Che si parli di legge elettorale, dei processi di Berlusconi o, appunto, di IMU, i comunisti sembrerebbero impossibilitati a esprimere un loro particolare punto di vista, e il loro ruolo parrebbe essere quello di restare indifferenti a queste tematiche o peggio ancora tifare per l’una o l’altra proposta. Chiaramente, questo processo è indotto dalla democrazia liberale, che punta a orientare tutta la discussione politica sulle sue dinamiche politiciste silenziando le discussioni sugli aspetti centrali dell’organizzazione economica del nostro sviluppo. Insomma, le leggi economiche sono immodificabili, e la politica può dibattere solo della cornice organizzata per difendere queste leggi.

Per questo motivo, dopo che per alcuni anni il dibattito centrale ha riguardato la crisi economica, le sue origini e i suoi effetti – argomenti questi che appassionavano i comunisti di ogni latitudine – la discussione pubblica è tornato verso lidi più gestibili. Se e quando Napolitano grazierà l’evasore Berlusconi; come fare per “diminuire le tasse che gravano su imprese e lavoratori”; andare a votare col porcellum, tornare al mattarellum, o escogitare un più efficiente sistema elettorale; eliminare l’IMU sulla prima casa o lasciarla per evitare che i mercati s’incazzino; ecc…aggiungeteci pure che è agosto e fa caldo, e l’assenza d’argomenti si fa problematica.

Questo dibattito potrebbe tagliarci le gambe, renderci, per così dire, obsoleti rispetto al flusso informativo, ma non è detto che non possiamo avere un nostro punto di vista slegato dalle proposte attualmente in campo. In particolare, la vicenda dell’IMU è sintomatica della nostra subalternità culturale.

Tutti sono concordi nell’affermare che una tassa patrimoniale sulla prima casa, in un paese composto per l’80% di proprietari di case, sia ingiusta. Nessuno però che abbia provato a ribaltare i termini del discorso: il problema italiano è proprio quello che esistono troppi proprietari di case. E, inoltre, come questi proprietari siano solo fittizi, in quanto per la maggior parte unicamente debitori di un mutuo, dunque ben lungi dal possedere completamente la propria casa (anzi, sempre costretti alla gogna dell’ipoteca al minimo ritardo dei pagamenti). L’italiano infatti è proprietario di casa non perché più ricco o più furbo dei vicini europei, ma perché costretto da un mercato degli affitti completamente in mano al mercato speculativo dei costruttori e dei grossi proprietari (banche, Chiesa). Infatti, nel corso degli anni non solo è stato abolito l’equo canone, strumento di calmieramento del mercato degli affitti che consentiva a chi non superasse un certo reddito di avere comunque un affitto a prezzi “sociali”; ma è stato abolito anche il concetto stesso di edilizia residenziale pubblica, cioè le case popolari. Tutto questo, andando contro lo stesso dettato costituzionale che garantiva il diritto alla casa e cercava di rendere concreto l’utilizzo di questo diritto (art.47).

Dunque, da almeno venti anni il mercato degli affitti è vertiginosamente aumentato, creando quel dramma sociale unico in Europa, cioè di una città con 250.000 abitazioni vuote, sfitte e/o abbandonate a fronte di 50.000 famiglie in emergenza abitativa urgente. Famiglie che per lo più hanno cercato di risolvere il problema direttamente occupando un alloggio dove vivere. Infatti non solo la capitale ha il più alto numero di stabili occupati d’Europa, ma sono incalcolabili quelli occupati dalle singole famiglie, slegate cioè dai movimenti di lotta. A Roma un affitto costa come accendere un mutuo. E’ normale che questa dinamica dei prezzi ha portato, per chi se lo poteva permettere, ad accendere un mutuo piuttosto che vivere in affitto. Oltretutto, da vent’anni è in corso il processo di cartolarizzazione dei beni patrimoniali degli enti pubblici, e dunque anche chi viveva in affitto contento di viverci è stato costretto a comprarsi casa da parte dell’ente proprietario (INPS, INPDAP, ENASARCO, ecc..) , che ovviamente insieme all’atto di vendita ha portato anche dei ritocchi economici.

Dunque, una politica veramente progressista dovrebbe puntare a diminuire il numero di possessori di case nel nostro paese. Una politica perfettamente in linea con quella degli altri paesi a capitalismo avanzato, come ad esempio in Francia. Non stiamo dunque parlando di scelte “rivoluzionarie”, ma che dovrebbero essere perfettamente in linea con le strategie politiche del PD, ad esempio.

Fatta questa lunga premessa, è evidente che l’IMU, come qualsiasi tassa (per di più se patrimoniale), abbia senso solo se impostata progressivamente. Il dibattito non dovrebbe vertere sulla sua cancellazione o il suo mantenimento, dibattito davvero sterilissimo. Ma di come orientarla in modo che i poveri non la paghino e i ricchi la paghino anche per i poveri. Sotto una certa soglia, infatti, e in presenza di unica casa di proprietà, l’IMU dovrebbe essere cancellata. Dopodichè, andrebbe pagata in ordine crescente al proprio reddito e alla propria situazione patrimoniale, andando ad incidere davvero sulla ricchezza patrimoniale di chi se lo può permettere. Le tasse hanno senso solo se orientate al fine redistributivo, altrimenti si trasformano in gabelle sulle spalle del popolo. E’ per questo che la pressione fiscale in Italia non va diminuita, ma spostata sulle spalle di chi ha di più.