L’implosione inevitabile

L’implosione inevitabile

 

Come previsto, alla prova del governo il populismo – ogni populismo – è destinato a fallire. Faremmo però un errore a concentrare le nostre attenzioni sull’affaire Marra. Riproducendo un feticismo giudiziario che vuole la magistratura garante dei nostri destini, ci accoderemmo a una visione del mondo che fagociterebbe ogni nostra autonomia culturale e politica. Il problema di Marra non è la sua (presunta) corruzione economica, ma la sua manifesta corruzione con un blocco di potere amministrativo trasversale politicamente ma omogeneo socialmente e ideologicamente. Ed è solo da questo punto di vista che viene svelato il nesso tra un Marra qualsiasi e i limiti della giunta Raggi. Il nuovo governo della metropoli, eletto coi voti delle periferie, coi voti di un proletariato cittadino stremato dalle politiche liberiste di destra e di “sinistra”, lungi dal produrre una qualsiasi forma di discontinuità politica ed economica col passato, ha reiterato uno stesso modello di sviluppo cambiandone la facciata amministrativa. Il problema della nomina degli assessori, dalla Muraro a Minenna, da Mazzillo a Colomban, da De Dominicis a Tutino, non risiede nella loro fedina penale, ma nella loro idea di mondo e, di conseguenza, dall’idea che vuole organizzarsi attraverso questi. Il “nuovo” Comune di Roma è politicamente la fotocopia delle vecchie giunte, con molta meno esperienza e capacità gestionale. Non basta un No alle Olimpiadi per ingannare le periferie martoriate dalla crisi: serve un’idea di governo e di sviluppo alternativo a quello dominante per decenni. Su questa alternativa il M5S ha stravinto le elezioni, ma è questo il piano su cui verranno chiamati a rispondere, non sulle fedine penali.

Chiaramente, un cambio di paradigma politico non è cosa da realizzarsi in pochi mesi o anche solo in pochi anni. Non siamo davvero così ingenui da pensare che basta una volontà per cambiare uno stato di cose in continuità decennale. Eppure in questi mesi sembra essere mancata proprio quella volontà, più che l’effettiva capacità. E questa è mancata non per presunti “tradimenti”, ma per logica delle cose. Il M5S, in quanto populismo trasversale, non è in grado di immaginare alternative realizzabili senza rompere con una delle costituency sociali che lo determinano. E’ una legge ferrea della politica, da cui non si esce con slogan post-moderni sull’onestà e la cittadinanza. I fenomeni politici sono, nella loro essenza, epifenomeni  di contraddizioni sociali. E’ questa realtà che viene negata a destra dallo stesso M5S e a sinistra da approcci politicisti che si limitano a ragionare sull’epifenomeno senza indagare il fenomeno alla radice. Ed è unicamente da questo punto di vista che è possibile interpretare non solo la forza del populismo, destinata a crescere nonostante tutte le difficoltà gestionale o legali a cui andrà incontro, ma anche la sua incapacità politica di predisporre soluzioni. L’implosione del populismo è nelle sue stesse premesse.

Detto questo, è opportuno anche leggere ciò che sta avvenendo sul piano mistificato dell’azione penale nella sua complessità generale. Il 4 dicembre si è di fatto aperta una nuova fase elettorale. Non sarà il governo Gentiloni ad impedire la necessaria conclusione del risultato referendario con il ritorno alla urne. Lo spauracchio – la vera e proprio paura – della vittoria di un movimento populista ambiguo e difficilmente controllabile produrrà di conseguenza l’arroccamento del potere (che non è solo politico, ma anche giuridico, e soprattutto economico) in difesa dello status quo. In assenza di forti e maggioritari movimenti di sinistra, le alternative al fallimento per mano giudiziaria della giunta Raggi sono esclusivamente di tre tipi: il primo, che porta al commissariamento poliziesco della città; il secondo, a un ritorno del Pd al governo; il terzo, la vittoria della destra identitaria di Meloni&Salvini. Tutte e tre gli scenari costituiscono un peggioramento delle condizioni politiche della città, a partire proprio dal punto di vista dei movimenti sociali. Sul piano nazionale le urne certificherebbero uno scenario speculare: il commissariamento nazionale ad opera di un agente europeista à la Draghi; la vittoria del Pd; la vittoria della destra identitaria, magari in alleanza col berlusconismo morente. Oppure, l’affermazione populista Cinque stelle. Che è lo scenario che le classi dirigenti del paese e di tutta l’Unione europea s’incaricheranno di scongiurare di qui alle elezioni, concedendo tutto: proporzionale puro, sconti fiscali, rinnovi contrattuali progressivi, eccetera. E’ una continua e affannosa rincorsa delle élite al populismo, in un vortice che stritolerà qualsiasi alternativa di classe. Ma l’alternativa, sempre evocata ma mai costruita, non è questione che si risolverà di qui alle elezioni attraverso qualche suggestione social. E’ un campo da ricostruire, che prevede tempi e modi che mal si accordano con la velocità post-moderna della politica attuale. Nella fase di trapasso determinata dalla perdita di legittimità popolare per le classi dirigenti e da un’impossibile alternativa politica e sociale per le classi subalterne, si giocano i nostri destini sia in termini di strategia che di tattica, parole vetuste ma, con ogni evidenza, ancora le uniche in grado di definire il nostro approccio alla politica. C’è la necessità di ricostruire insediamento sociale, un insediamento che non si limiti alla buona amministrazione del locale, ma che sappia evocare una civiltà alternativa al capitalismo; e c’è la necessità di agire nelle contraddizioni del presente, e non fuori da esse, o a prescindere da esse, come se Politica e politica non fossero in diretto rapporto vicendevole. Per tali motivi oggi non è possibile rifiutare il terreno del confronto dialettico col proletariato che affida i suoi istinti di ribellione al populismo grillino. Marra è un episodio, e altri ne verranno fino all’inevitabile caduta della giunta romana, ma se non si interviene sulle necessità materiali che hanno determinato la forza attuale del populismo, il lamento dell’ortodossia non potrà fare nulla rispetto al moltiplicarsi della forza elettorale del populismo stesso. Lamentismo sterile e testimonianza dei principi condividono uno stesso scenario: l’irrilevanza manifesta delle proprie intenzioni di fronte la realtà dei fatti. Ed è per questo che oggi non ce la caviamo unendoci al coro del liberismo gongolante per le vicissitudini giudiziarie di Raggi&co. Funziona (forse) nei rapporti virtuali della rete; molto meno dal vivo, nelle periferie, foriere di domande a cui la “sinistra radicale” non sa più dare risposta perché da tempo ha smesso di parlare la stessa lingua.