Lezioni elettorali: fascismo, neofascismo e reazione

Lezioni elettorali: fascismo, neofascismo e reazione

 

Nel 2013 le due principali forze neofasciste, Casapound e Forza Nuova, presero insieme 137.687 voti, lo 0,4% elettorale. A questo dato va però aggiunto il risultato de La Destra di Storace, dentro la coalizione di centrodestra ma alternativa a Fratelli D’Italia della Meloni: altri 219.769 voti, lo 0,6%. Sommati, i tre partiti neofascisti raggiunsero 357.456 voti, corrispondenti all’1%. Domenica scorsa le forze neofasciste hanno preso, insieme, 437.000 voti, l’1,3%. Effettivamente c’è stato un aumento dei voti verso il neofascismo, ma estremamente contenuto. E’ aumentata notevolmente Casapound, che passa da 47.692 voti a 310.793; aumenta il proprio bottino anche Forza Nuova, da 89.811 a 126.207. Ma ad essere aumentata oltre ogni ragionevole misura, in questi cinque anni, è stata soprattutto l’esposizione mediatica del neofascismo. Nel 2013 Casapound e Forza Nuova rientravano tra gli scherzi della politica. Questo quinquennio li ha di fatto legittimati quali interlocutori credibili, possibili, perfettamente integrati nel “gioco democratico”. La sovraesposizione non sta, attenzione, nella semplice presenza televisiva. Qualsiasi giornalista degno di questo nome ha non solo il diritto, quanto il dovere di raccontare i fenomeni politici che avvengono nella società. Il problema è che alla sovraesposizione mediatica non corrispondeva alcuna rappresentazione reale del neofascismo nella società. Numerose volte abbiamo provato a raccontare di questa sproporzione tra realtà e sua narrazione. Nella realtà i quartieri della periferia romana – i territori che conosciamo meglio perché è qui che viviamo – continuano ad essere abbandonati da ogni presenza politica, anche da quelle neofasciste. Nella rappresentazione mediatica quelle stesse periferie si trasformavano in spazi occupati militarmente dalle destre. E’ (quasi) tutta qui la contraddizione politico-mediatica del giornalismo liberale, che legittima il neofascismo in assenza di prove reali. Lo fa, cioè, per calcolo politico. Questa assenza si è tramutata nella sconfitta elettorale di domenica. Sebbene il neofascismo aumenti i propri voti, lo fa in percentuali infinitesimali. Soprattutto considerando la sovraesposizione mediatica di cui sopra, che ha fatto conoscere Casapound a tutti gli italiani, cosa che non poteva dirsi nel 2013.

Tutto bene dunque? In realtà il neofascismo è un problema da non sottovalutare. Bisogna però intendersi sul tipo di problema che rappresenta questo neofascismo, per non fraintendere analisi e soluzione dei problemi. Il neofascismo rimane un problema di agibilità politica, non di potere politico. Un’agibilità ridotta per le lotte sociale e i suoi militanti, ma anche – anzi in particolar modo – per i migranti. Un problema militante, ma potremmo anche dire “militare”. Il neofascismo va combattuto senza mediazioni. Va combattuto con la presenza sociale nei quartieri, ad esempio; lottando contro il revisionismo storico e politico di cui si è impossessato il mainstream sotto-culturale giornalistico à la Pansa; e va combattuto fisicamente, militarmente, nelle strade. Questi tre piani si intersecano e si compenetrano a vicenda: l’uno non esclude l’altro, l’uno rafforza l’altro.

Altro discorso è accanirsi contro una presunta «fascistizzazione» della società e della politica. Non siamo in presenza di alcuna fascistizzazione, perché la Lega – principale indiziata dello sdoganamento mainstream delle tematiche neofasciste – non ha niente a che vedere con il «neofascismo». La Lega di Salvini è un movimento reazionario di massa. E’ un problema – molto più grande di quello rappresentato dagli zerovirgola neofascisti – ma un problema d’altro tipo. Confondere i due piani, utilizzando cioè la parola fascismo non come concetto politico, ma come istanza morale, da affibbiare verso chi si individua come massimo nemico politico, non ci farà capire meglio la situazione della politica italiana, ma aumenterà solo la confusione generale sui problemi sociali del paese e sulle reazioni della sua popolazione. La «reductio ad Hitlerum» è sempre stata una cosa di destra.

E’ possibile intendere il fascismo solo dentro lo sviluppo capitalistico. Fuori da questo si rischia l’intelligenza col nemico, considerare cioè il fascismo come alternativa al capitalismo stesso. In rapporto a questo sviluppo, il fascismo trova significato solo quando il sistema liberale non riesce più a contenere, tramite le normali regole democratiche, gli sviluppi delle lotte di classe. Il fascismo è l’extrema ratio della governabilità capitalista, non l’ordinaria condotta politica della borghesia liberale, né, ovviamente, quella più preferibile. In assenza di lotte di classe non ci può essere fascismo. E l’attuale pacificazione sociale italiana ed europea, l’assenza di una credibile alternativa di sistema, rende inattuale la comprensione del fascismo dentro le logiche liberali. Rimangono il neofascismo, cioè la riproposizione nostalgica – ancorché aggiornata – di un fenomeno storico, e la reazione, che però è tutt’altra cosa. Churchill era un grande reazionario, così come De Gaulle, e non per questo smisero di lottare contro il fascismo nella Seconda guerra mondiale. A confondere neofascismo e reazione non solo si fa un regalo proprio al neofascismo, ma si fraintendono gli strumenti per combattere quei movimenti reazionari che in questi anni hanno raggiunto una dimensione di massa. In Italia, la Lega di Salvini.

La Lega è, ça va sans dire, il principale partito reazionario, xenofobo e razzista italiano. Ma la sua funzione è quella di contenere le lotte di classe? In astratto certamente, ma questo può dirsi di tutti i partiti dell’attuale arco parlamentare, quindi non la differenzia nella sostanza dal resto del panorama politico. Quello che invece preme interpretare è perché sempre più elettori la scelgano come valido rappresentante dei loro interessi economici. Una parte importante di questo elettorato risponde alla naturale costituency di partiti di questo tipo: una piccola borghesia evasora, anti-statale, egoistica, che garantisce i propri profitti grazie allo sfruttamento della manodopera precaria e molto spesso migrante. E’ naturale che votino Lega, c’è perfetta assonanza tra soggetto politico e oggetto elettorale. Un’altra parte di questo elettorato risponde a motivazioni più tipicamente “populistiche”: nella Lega vede l’argine allo smantellamento progressivo dello Stato sociale. Si affida (malauguratamente) alla Lega perché in questi anni è stata capace di suscitare un istinto di conservazione delle garanzie sociali prerogativa dello Stato quale attore economico. Questa porzione di elettorato, è la nostra tesi, è parte di un proletariato su cui noi, intesi come sinistra di classe, dovremmo tentare operazioni di recupero. Una parte del successo elettorale della Lega non è spiegabile attraverso il razzismo diffuso (c’è anche quello ovviamente), ma attraverso le lenti del populismo. Che rispondono alle stesse logiche sia che si voti Lega sia che si voti M5S, ma anche per chi vota Podemos o (un tempo) Syriza: resistere alla globalizzazione. Una parte di questo elettorato non vota Lega perché vuole la pace sociale ma, paradossalmente, come veicolo di maggiore conflittualità con le forze della stabilità liberale.

Fenomeni come quello leghista sono decisamente più complessi, contraddittori e difficili da affrontare. Implicano un’analisi oggettiva, e non solo soggettiva, dello scenario politico e sociale del paese e del suo contesto continentale. Fanno parte delle intricate contraddizioni del presente, un presente sempre meno comprensibile attraverso le categorie sedimentate della militanza politica del passato. Neofascismo e reazione sono fenomeni che ci interrogano costantemente, ma mentre per il primo abbiamo ancora collaudate resistenze automatiche, facilitate – è bene ricordarlo – da un recinto costituzionale che ancora legittima una retorica antifascista, per la seconda scontiamo un ritardo interpretativo che è lo stesso nel nostro rapporto col populismo. Possiamo tranquillamente fregarcene di tutto questo e vivere soddisfatti nelle nostre convinzioni intellettuali. Il prezzo da pagare è però una realtà che sfugge costantemente di mano giorno dopo giorno.