le nostre analisi (del voto)/1

le nostre analisi (del voto)/1

Uno dei momenti più belli del post-elezioni è rappresentato dalla possibilità di commentare proprio le elezioni. Non solo il non-voto, come abbiamo fatto nel precedente post (piuttosto fieri del nostro astensionismo militante), ma anche il voto regolarmente espresso. Questo perché il momento elettorale merita comunque un approfondimento: quantomeno perché le democrazie liberali si giocano qui tutta la loro credibilità. Infatti…
Chiariamo una cosa: non c’è stato un risultato globalmente sorprendente, ma solo la conferma di una tendenza già in atto. Si tratta del pendolo tra i due poli della borghesia, uno conservatore e l’altro fintamente progressista. Nello specifico italiano, bisogna aggiungere l’anomalia della presenza di Berlusconi, cioè dell’uomo più ricco (e indebitato, ma nel liberismo i due aggettivi corrispondono) del Paese. Berlusconi scompagina la contesa politica, perché divide gli schieramenti tra gli impiegati di Berlusconi e gli avversari di Berlusconi, anziché – come accade negli altri Paesi – tra conservatori e progressisti socialdemocratici (dove spesso questi ultimi sono più liberisti e imperialisti dei primi). Dal momento che il voto italiano è sempre più “televisivo”, diventa normale che chi controlla le televisioni (Berlusconi attualmente ne controlla sei nazionali e una miriade di televisioni locali, come ha insegnato il caso Prosperini a Milano) abbia un grande vantaggio. A ciò bisogna aggiungere che l’elettorato – sempre meno ideologizzato – tende a punire la compagine che era al governo, quando si sia macchiata di evidenti scandali o di scelte politiche suicide. Per questo motivo la riconferma del centro-sinistra in Campania (con il problema dei rifiuti ancora insoluto) e nel Lazio (con il caso Marrazzo) appariva da subito decisamente improbabile. Il caso Marrazzo testimonia come anche negli scandali sessuali sia importante, più che il fatto in sé, la sua rappresentazione mediatica: così Marrazzo è stato indotto alle dimissioni immediate perché andava con i trans, mentre Berlusconi è risultato ancora più “fico” perché andava con le escort (e le soubrette). È un fatto di classe sociale: i trans sono prostitute di serie B, le escort di serie A. Analizzando il voto a partire dalla destra, si nota un certo travaso di preferenze dal Pdl alla Lega: immediati sono ricominciati i commenti estasiati dei tanti che hanno esaltato la Lega come modello di organizzazione partitica. Per dirla tutta, si ha l’impressione che persino a sinistra si guardi alla Lega con il tacito rimpianto di chi ricorda il PCI e la sua organizzazione del territorio e dell’elettorato. Viene esaltata la presenza capillare della Lega, la sua capacità di intercettare gli umori popolari. Ormai i leghisti vengono descritti come leader nelle fabbriche e nelle campagne, nelle regioni “bianche” del Nord (ormai si possono definire “nere”), ma anche in parte di quelle che erano storicamente “rosse”.
Tutte balle: fa impressione la superficialità di certe analisi. Per “controllo del territorio” si intende un’organizzazione della vita del cittadino-elettore lungo gran parte della sua giornata, per non dire di tutta: da quando esce di casa, va al lavoro, torna a casa, si riposa nel fine settimana, si concede una sporadica gita fuori porta. La Lega fa tutto questo? Evidentemente no, basta andare a vedere nelle strade delle città del Nord. Né si può pensare di poter realizzare un progetto così complesso con qualche gazebo in piazza o con un comitato elettorale aperto sotto elezioni.
Lo faceva – tra mille difetti, per carità – il PCI, con il suo sindacato, con la sua Arci, con il suo Dopolavoro, con le sue società sportive e le mille associazioni. Con una solidarietà di classe che comportava un controllo pressoché totale dei quartieri popolari, nei quali si poteva non solo far vincere o meno un candidato, ma anche prevedere – con uno scarsissimo margine di errore – quanti voti avrebbe preso. Lo faceva, per quanto in maniera più subdola, la Democrazia Cristiana nelle sue zone di competenza. Non lo fa di certo la Lega, la quale ha lo zoccolo duro di elettori proprio laddove è meno forte la possibilità di socializzazione (le vallate alpine, le campagne venete a bassa densità abitativa), mentre prende molti meno voti nelle città. Il fatto che stiano aumentando anche qui deriva dal fatto che la Lega ha saputo meglio degli altri partiti sfruttare l’imbecillimento televisivo degli italiani, lanciando l’unico slogan ammesso dal fascismo sociale oggi imperversante nei mezzi di comunicazione: “via gli stranieri”. C’è la crisi economica? Chiudono le fabbriche? Crollano i distretti economici del Nord-est? Vanno a picco i consumi? Perdono potere di acquisto i salari (per coloro che ancora ce l’hanno)? La risposta è sempre la stessa: “è colpa degli stranieri”. “È colpa dei musulmani”. “Gli zingari se ne devono andare perché rubano”. Quando un messaggio – per quanto stupido – diventa l’unico diffuso e non trova nessun termine di confronto (anche perché la controparte politica è incapace di proporne anche solo uno altrettanto stupido) finisce per essere interiorizzato, soprattutto dalla classe borghese – che storicamente è incline a scaricare sugli altri le proprie paure e incapacità.
La Lega Nord, in questi anni, ha avuto il grosso merito di capire che poteva riempire l’enorme spazio elettorale conservatore che si stava aprendo, anche in virtù della scomparsa del partito politico che lo aveva occupato con maggiore naturalezza (Alleanza Nazionale, svenduta ai soldi di Berlusconi). Così facendo un partito come la Lega, che nasce per difendere una piccola porzione di interessi economici (i medio-grandi produttori agricoli, quelli che a metà anni Novanta protestavano per le quote latte) e territoriali (i valligiani alpini, che si sentono storicamente minacciati dai “cittadini”, neanche fossero amish…), adesso abbraccia il sentimento xenofobo e cerca di rappresentarlo su tutto il territorio nazionale. Pochi hanno sottolineato come la Lega sia un raro esempio di partito che, nel corso di una vita piuttosto breve (ma che la rende oggi il più vecchio partito presente in Parlamento!), abbia cambiato radicalmente le sue caratteristiche morfologiche. Bossi è passato dal pulirsi il culo con il tricolore (gesto che lo rendeva onestamente abbastanza simpatico…) a chiedere la precedenza per gli italiani nel lavoro, nel diritto alla casa e nella costruzione di luoghi di culto. Contraddizione nella contraddizione, lo fa nonostante prenda voti in Regioni (Lombardia e Veneto) dove è addirittura la Confindustria locale a chiedere di aumentare le quote di stranieri, per poter sfruttare più manodopera nelle fabbriche.
Ovviamente, nel bipolarismo (per quanto fatto a cazzo, come quello italiano) le buone sorti di un polo sono legate alle cattive sorti dell’altro. Quindi i successi del centro-destra nascono anche dall’incapacità del centro-sinistra. Sia di quella parte (il PD), il cui unico sogno è di sostituire Berlusconi per poter concertare con il padronato, sia di quell’altra (la Federazione della Sinistra), il cui sogno governista è invece irrealizzabile perché incapace di vincere anche un’elezione condominiale…
Ma di loro parleremo nella prossima puntata…