Le disavventure del giovane Gianni

Le disavventure del giovane Gianni

 

Ieri è stata un’altra giornata amara per il sindaco di Roma; un’altra giornata in cui poco però c’entra la sfortuna, che in ogni caso si porta disgraziatamente appresso, e molto la sua incapacità di governare anche il condominio di casa, figuriamoci una città multiforme e complessa come Roma. La prevedibile conseguenza di una amministrazione di post(?)-fascisti, amici degli amici e intrallazzoni berlusconiani giunta al potere per caso e senza la minima capacità di amministrare nulla, se non di mettere (senza peraltro alcuna furbizia) amici personali e politici nei posti guida delle cariche cittadine e delle imprese controllate.
Il 15 ottobre scorso, a seguito della manifestazione dei movimenti e con decisione fuori da ogni logica democratica, il sindaco, di sua sponte, vietava i cortei nel centro della città. L’unico precedente storico recente si ebbe nel 1977, a seguito dell’ordinanza Cossiga, che produsse da una parte la militarizzazione di una città, Bologna, invasa dai carri armati, e dall’altra la morte di Giorgiana Masi.
Incurante di tutto ciò, e favorito dall’assenza di mobilitazione cittadina e di cortei locali o nazionali, il sindaco non ha però potuto evitare il giudizio del TAR, che proprio ieri ha infatti ricordato allo sprovveduto Gianni come l’ordinanza comunale fosse illegittima, anzi apertamente illegale, in quanto contraria a diverse norme costituzionali che difendono il diritto d’espressione e d’opinione e la libertà di manifestare. Il problema, semmai, è che tale ripristino della legalità politica sia stato portato da un tribunale amministrativo, e non dalla volontà di chi avrebbe invece dovuto continuare a manifestare in barba a ogni divieto. Una responsabilità di tutti noi, nessuno escluso, che però la dice lunga sul livello di conflittualità presente oggi in Italia – e a Roma in particolare – visto che in cinque mesi a nessuno è venuto in mente di tentare il corteo nelle vie del centro.
Ieri, poi, c’è stata anche la decisione di non appoggiare la candidatura di Roma alle Olimpiadi 2020. Anche qui, oltre alla sfortuna, una decisione sacrosanta (forse l’unica del governo Monti) che investe in pieno la credibilità del sindaco, che non ha pensato niente di meglio che sbraitare subito: “Io non mi dimetto!”, come se qualcuno sperava in un tale atto di generosità nei confronti della città.
Anche qui, occorre un attimo fare chiarezza: per noi amanti – e praticanti – di sport le olimpiadi piacciono, e anche parecchio, e l’eventualità di una nuova olimpiade romana non poteva non affascinarci. Al di là di tutte le retoriche sullo sperpero di denaro, sull’inutilità di certe organizzazioni (!), il vero – e solo – motivo che ci vede concordi con la decisione del governo è la serie di esperienze traumatiche che si sono sommate negli anni, quando è toccato proprio a Roma organizzare eventi di tale portata. I mondiali di calcio del 1990 e i mondiali di nuoto del 2009 sono ancora lì a dimostrarlo. Addirittura fisicamente: molte delle strutture costruite nel 1990 non hanno mai visto l’apertura, ancora abbandonate ai margini della città, utilizzate come discariche o occupate, opere che sin da subito suscitarono l’ilarità dei cittadini romani; come la galleria per treni a Monte Mario costruita più piccola dei treni stessi, e dunque mai aperta e dichiarata inagibile a lavori ancora da ultimare. Senza contare le centinaia di vittime sul lavoro che significò la costruzione della copertura dello Stadio Olimpico. Per non parlare poi dei mondiali di nuoto del 2009, in cui erano previste tutta una serie di opere che ancora devono essere costruite. Ripiegando poi sugli impianti del Foro Italico, quelli costruiti per le olimpiadi del 1960 e gli unici ancora degni di ospitare manifestazioni sportive di tale entità.
Insomma, se utilizzata saggiamente, la leva di una serie importante di lavori pubblici prodotti dall’organizzazione di un’olimpiade rappresenta sicuramente una scossa economica forte, capace di creare occupazione e aumentare i salari.
Il vero problema è che a Roma le olimpiadi, come tutti gli altri progetti di questo tipo, sarebbero state appaltate di fatto ai palazzinari, i veri amministratori della città, che avrebbero chiesto in cambio i soliti permessi di costruzione di abitazioni, i soliti cambi di destinazione d’uso, i soliti centri commerciali, e dunque avrebbero reso più invivibile e costruita la città, a scapito della gestione dell’evento sportivo, lasciato come al solito all’incapacità di una classe dirigente evidentemente incapace di coordinare eventi di tale portata.
Fino a quando saranno i costruttori privati – e non lo Stato – a organizzare di fatto questi eventi, ci meriteremo tutte le bocciature possibili, senza possibilità di recriminazione. Tanto meno da parte dello sventurato sindaco di Roma, paladino ed esponente di quella cricca di costruttori che si stava per mettere il bavaglio al collo pronta a banchettare con gli ultimi residui di città ancora non costruita. Ci dispiace, questa volta vi ha detto male.