La sinistra per bene nei salotti che contano

La sinistra per bene nei salotti che contano

 

Ci chiedevamo che fine avesse fatto Tsipras, ed ecco ritrovarcelo al Forum Ambrosetti. Non staremo qua a fare l’elenco dei motivi per cui un rappresentante di una sinistra non diciamo antagonista, men che meno rivoluzionaria, ma quantomeno radicale, dovrebbe stare ben lontano da certi cenacoli per banchieri. Tutte motivazioni giuste e scontate. Per di più, in via molto teorica, si può anche decidere di andare a parlare a casa del nemico, ma non così. Non senza un rapporto di forza costruito con la lotta; non trattato come scimmietta allo zoo, curiosità antropologica con cui distrarsi nei momenti di disimpegno. E soprattutto, dicendo cose appropriate, non cercando di assecondare l’animo più liberal della platea, reiterando il concetto di una borghesia illuminata contrapposta ad una speculatrice. Ma ancor prima di tutte queste motivazioni, si dovrebbe decidere di parlare col nemico se questo possa portare ad un avanzamento politico per il campo che si dice rappresentare. Niente di tutto questo è avvenuto al Forum Ambrosetti, e la percezione che tutto si sia risolto in un’apparizione in più nei luoghi che contano, che tutto sia basato sulla ricerca individuale ed edonistica di parlare anche di fronte ai “ricchi”, a quel pezzo di società che muove i fili del potere, come prima di lui tutti gli altri leader della sinistra “per bene”, sembra sempre più evidente. Questa costante ricerca della legittimazione da parte della politica ufficiale, prima ancora di essere il costante vizio delle sinistre radicali europee, determina piuttosto le ragioni della propria sconfitta storica.

Come dicevamo, poste le condizioni necessarie – che non c’erano – per cui si potrebbe anche andare a dire ai banchieri e agli industriali di turno la propria visione del mondo, bisognerebbe quantomeno sfruttare il palcoscenico esprimendo concetti sensati, e non ripetendo stancamente la filastrocca della crisi finanziaria che si è trasposta all’economia reale rovinandola, o proponendo la ricetta riformista-draghiana degli incentivi all’economia reale contro l’economia finanziaria e la richiesta di più coesione sociale all’interno della UE. Se infatti ci concentrassimo per un momento sul discorso da lui pronunciato, questo sarebbe la sintesi efficace dei motivi per cui un’operazione come la Lista Tsipras rimane invotabile, nei secoli dei secoli. Anzitutto, una strenua difesa dell’Unione Europea, contrapposta addirittura all’estrema destra anti-europeista, populista, e chi più ne ha più ne metta. Poi, l’esaltazione della ricetta monetarista, anche questa sostenuta da Draghi e dai soloni riformisti, del quantitative easing quale rimedio ai problemi europei del debito pubblico. Per concludere promuovendo il ruolo della Banca Europea degli Investimenti per consentire la ripartenza della domanda interna UE. Un discorso che avrebbe potuto fare, parola per parola, Mario Monti, e non a caso lo stesso Monti viene citato, ed apprezzato, in un passaggio del discorso di Tsipras.

Insomma, se la Lista Tsipras doveva rappresentare lo strumento attraverso il quale risollevare le sorti della sinistra europea, non solo questa non ha promosso, a distanza di cinque mesi, un percorso politico reale fatto di lotte e di ricomposizione sociale, ma tutto sembra risolversi, come sempre in queste operazioni, nella sovraesposizione mediatica del leader di turno, chiamato ovunque ci sia bisogno di mettere una toppa al concetto di “democrazia” interno alle politiche UE. Chiamandolo, la borghesia europeista sembra dire agli elettori: “visto come siamo bravi e democratici, ascoltiamo anche le idee di questo simpatico ragazzo. Mica come questa o quella dittatura che imbavaglia il dissenso e le opposizioni”. Tsipras che si presta a questo gioco conferma, se mai ce ne fosse bisogno, tutti i dubbi che avevamo prima delle elezioni europee.