La sinistra e le elezioni

La sinistra e le elezioni

elezioni2008gv5.jpg

Dopo tanti (troppi) passi falsi, finalmente arriva dal Manifesto una proposta inaspettatamente acuta, sicuramente da approfondire; quella, per i partiti della sinistra, di fermarsi un giro, non presentarsi alla tornata elettorale delle prossime europee, evitare di rincorrere l’ennesima inutile giostra elettorale sui cui si fondano le liberaldemocrazie occidentali. Una proposta che andrebbe discussa, vagliata e capita, partendo dal significato stesso delle elezioni, soprattutto dalla piega che ha preso lo strumento elettorale in questi ultimi anni. E invece, manco a dirlo, la risposta della sinistra è stata di chiusura più totale. “Non se ne parla”, gridano in coro i dirigenti già trombati alle ultime elezioni. Anzi, proprio Ferrero, colui che dovrebbe rappresentare la svolta sociale rifondarola, dichiara addirittura che “è come se io suggerissi ai giornalisti del manifesto di chiudere il giornale per qualche tempo”. Tralasciamo gli altri commenti, e approfondiamo il senso di queste risposte, nonché della proposta stessa, assolutamente da considerare.

Insomma secondo il segretario di Rifondazione,così come compito del Manifesto è quello di raccontare la realtà tramite i suoi articoli, così il compito fondamentale del suo partito è quello di partecipare alle elezioni. E siccome non proporrebbe mai al Manifesto di chiudere per qualche tempo, così non deve azzardarsi il quotidiano comunista a consigliargli di non partecipare alle elezioni. E’ evidente che un concetto del genere  era chiaro già da molto tempo, ma da qui a rivendicarlo così apertamente, il passo non è stato breve. Fa specie ascoltare certe parole, soprattutto da chi dovrebbe guidare un partito comunista. Le elezioni, strumento più o meno utile ma comunque sia sempre un mezzo, sono diventate il fine ultimo su cui orientare ogni politica pubblica del partito.

Ora, già noi nutriamo molti dubbi sul sistema elettorale in se, nonchè  sulle elezioni quali massimo strumento democratico per consentire la rappresentanza dei vari interessi e delle varie classi sociali. Ma il problema è un altro. Proprio la voglia e il bisogno di discontinuità dovrebbe spingere i dirigenti di partito a capire che non possono vivere per le elezioni. Quello che per un qualsiasi partito riformista borghese rappresenta il suo scopo, e cioè vincere le elezioni, per un partito comunista dovrebbe rappresentare uno dei tanti mezzi a disposizione per rappresentare meglio la sua classe sociale di riferimento. E non certo il suo mezzo più importante.

Proprio in una fase storica in cui la sinistra dovrebbe fermarsi e riflettere sui propri errori, non presentarsi alle elezioni darebbe veramente quel segno di serietà che spariglierebbe le carte in tavola. Sarebbe una presa di coscienza non indifferente da parte dei vari partiti, un segno che sicuramente sarebbe compreso e apprezzato dalla base. Se uno dei motivi (non l’unico, ma neanche il meno importante) della disfatta della sinistra è stata proprio l’incomunicabilità fra scelte della dirigenza e malumori e richieste della base, quale migliore occasione che ammettere questo tramite un atto forte e significativo. “Noi ripartiamo dalla base, dal basso, ascoltiamo le istanze che provengono dai nostri settori sociali di riferimento e condurremo le nostre politiche in base a quelle richieste.”  Questo dovrebbe dire un dirigente onesto e veramente voglioso di cambiare la situazione. Ripartire dal lavoro, dai territori, dalle periferie delle metropoli, e non dal solito baraccone mediatico-elettorale.

Il problema non è lo sbarramento al 4%; il problema è una sana pulizia morale e politica, che faccia ripartire la politica là dove si è fermata tanti anni fa. Questo scollamento fra momento politico e sociale non è più ricomponibile se non con forti e chiari segnali di discontinuità, che segnino un cambiamento di rotta radicale. Non presentarsi alle elezioni potrebbe essere uno di questi momenti. Un segnale evidente per dire che noi non facciamo parte di quel parlamento perché noi siamo comunisti, e se in alcune fasi storiche presentarsi alle elezioni può essere utile, oggi come oggi non lo è più. I nostri interessi  e i nostri problemi non sono rappresentabili in assemblee parlamentari in mano a due partiti espressione di un’ unica ideologia dominante neoliberista espressione di un economia in crisi che farà pagare al lavoro salariato le bolle speculative prodotte dall’economia finanziaria. Al giorno d’oggi la distanza fra società civile e politica è incolmabile. La politica risulta indifferente a qualsiasi tipo di spinta dal basso, dalle manifestazioni agli scioperi, dalle iniziative culturali alla pressione parlamentare. In questo momento bisogna ri-organizzare l’opposizione sociale nei luoghi in cui si trova, riaggregare ciò che il capitale ha completamente de-strutturato. Non si può, in questo momento, fare ciò partendo dalla rappresentanza, men che meno dalla rappresentanza parlamentare.

Quello che lascia allibiti è la sufficienza e l’arroganza con cui vengono trattate certe proposte. Invece di avviare un dibattito serio e serrato, ci si limita a liquidare il tutto con un sostanziale: fatevi gli affari vostri. Tutto questo non lascia ben sperare per il futuro dei vari partiti che si richiamano al comunismo, e soprattutto il futuro di Rifondazione. Se questo è il nuovo corso rappresentato da Ferrero, come dire…cominciamo bene.