“La profezia dell’armadillo” di Zerocalcare

“La profezia dell’armadillo” di Zerocalcare

Ora che Zerocalcare è diventato di moda, che le sue storielle del lunedì sono un cult condiviso su facebook da migliaia di persone, anche improbabili (classico pensiero del lunedì sera: «Ma guarda, pure a ‘sto coglione di – nome a caso di un qualsiasi vostro ex compagno di studi, conoscente, parente, vicino di casa per cui non nutrite particolare stima – è piaciuta il tempo dei sogni/trenitaja/in riva al fiume/pedagogia/ecc. ecc., chissà come ci è arrivato»), che ha conquistato un unanime apprezzamento, ci rendiamo conto che arriviamo quasi ultimi a recensire La profezia dell’armadillo. Un po’ come recensire l’ultimo successo editoriale di Giorgio Faletti a due anni dall’uscita. A nostra parziale discolpa, però, possiamo dire che aspettavamo che uscisse la seconda ristampa: non potevamo mica recensire un libro introvabile…

Fatta la doverosa premessa, non possiamo che consigliare di affrettarvi a comprare una delle (poche) copie rimaste della Profezia (qui tutte le istruzioni). Si tratta di una raccolta di diversi fumetti, molti non inediti, che seguono un filo conduttore. Anzi, due, che si alternano e si compensano, in un equilibrio davvero sorprendente. Se alcuni di essi , infatti, vanno a formare una rassegna esemplare di sfighe e problemi quotidiani che a pochi esseri umani possono capitare (tra essi, Zerocalcare), altri costituiscono una storia a sé, un po’ più intima, che è probabilmente la parte più forte del libro, la sua insostituibile colonna vertebrale: non la spoileriamo, però, per non rovinarvi il piacere di leggerla.

La somma di questi elementi fa ridere come poche cose che abbiamo letto in vita nostra. Ridere con una vena (pure piuttosto marcata) di tristezza, con l’avvicinarsi della fine, ma comunque ridere. Di gusto e fino alle lacrime. E questo perché Zerocalcare ha la straordinaria capacità di costruire storie che mettono al centro il mondo della nostra generazione (quella nata negli anni ’80), con i suoi riferimenti culturali (film, libri, serie televisive), le sue paranoie, le sue esperienze (soprattutto quelle di noi militanti per cui «le chiamate notturne sono sinonimo di truculente emergenze solitamente derubricate dai media del giorno dopo a “risse tra balordi”»). E lo sa fare procedendo per paradossi e riflessioni che, messi gli uni accanto alle altre senza che il ritmo del racconto cali mai, creando una miscela divertentissima. A tratti dura e malinconica, ma divertentissima. Dentro di essa ci ritroviamo un po’ tutti e, ridendo del fumetto, ridiamo in realtà di noi stessi.

Storie individuali che si fanno generazionali, se non universali, e che sottendono delle autentiche verità. Come quella per cui «noi siamo come i cani di Pavlov. Pavlov suona il campanaccio. E noi corriamo. Perché quando il campanaccio suona, bisogna correre. È così che va. È automatico. Pure coi morti è così. C’è un morto. C’è la rabbia. C’è il ricordo. È così che va. È automatico». Sulla pagina, Carlo.

Leggete la Profezia dell’armadillo, insomma, sono 12 euro ben spesi!