La meglio gioventù

La meglio gioventù

 

 Agli otto arrestati, alle centinaia di identificati e a tutto il corteo romano va la nostra solidarietà militante. E’ scontato ma giusto iniziare ogni riflessione con la sacrosanta rivendicazione non solo, o non tanto, di innocenza, quanto di complicità con i compagni fermati. Perchè non solo eravamo in prima fila, come tutti i compagni romani, a fronteggiare la violenza della polizia guidata dal governo tecnico PD-PDL; perchè non solo abbiamo convintamente aderito e promosso lo sciopero sociale europeo con l’azione alla Cisl e alla Uil del giorno prima; ma soprattutto, perchè è sempre troppo poco. La sproporzione palese fra attacco storico alle condizioni di vita dei lavoratori europei e mobilitazioni di classe è talmente evidente che non fa più notizia. Nel nostro paese soprattutto.

Detto questo, poco di nuovo e molto di già detto per quanto riguarda i cortei di ieri. Ai tempi del governo tecnico non è possibile sfruttare quelle indirette coperture politiche che garantivano determinati spazi d’agibilità. In un governo del Presidente non ci può essere opposizione. Berlusconi non c’è più, i tempi in cui Repubblica tollerava la rabbia contro il tiranno sono finiti. Le forze dell’ordine, di conseguenza, si adeguano come meglio non potrebbero. Simulazione e mediaticità sono un ricordo dei tempi che furono. Oggi alle cariche seguono i pestaggi; ai pestaggi gli arresti; agli arresti, condanne decennali. Senza possibilità di alcuna copertura a garantire una qualche parvenza di dialettica democratica. Se questo serve a definire i campi della nemicità, ben venga. Nessuna collusione, anche solo indiretta o tattica (o tatticista?), ci può essere fra i governi della pace sociale e delle controriforme e le mobilitazioni europee.

La violenza poliziesca di ieri rappresenta emblematicamente il quadro politico. Un corteo tutto sommato pacifico, un tentativo di forzatura tutto sommato accettabile, si trasforma nella caccia all’uomo e all’identificazione di tutto un corteo.

La nota stonata di ieri, inutile tentare di nasconderlo, era la composizione quasi esclusivamente studentesca del corteo romano (qui parliamo solo delle manifestazioni romane, non abbiamo pretese di letture nazionali). Nella giornata dello sciopero europeo, a Roma gli unici a scendere in piazza sono gli studenti, medi e universitari. Non è certo colpa loro la mancanza d’altri, di quelle organizzazioni che propongono vacui tentativi di ricomposizione elettorale fuori da ogni dinamica conflittuale. Dove fosse la FIOM, in prima fila a solidarizzare con i sindacati gialli, non è dato saperlo; dove fossero i sindacati di base, anche (e non parliamo delle venti bandierine utili alle foto di rito). Mai come in questo caso, ha sbagliato chi non c’era, non certo chi era in piazza. Che poi anche ieri si sia palesata l’evidente mancanza d’organizzazione, anche solo di un contenitore di organizzazioni diverse, non è certo un fatto che scopriamo noi ora.

Emerge sempre più fortemente, all’interno del movimento,  l’esigenza di questa organizzazione. L’esigenza di una strutturazione che sia espressione e avanguardia delle lotte stesse. Che sappia collegarle, mantenendo in un unico solco le varie articolazioni delle lotte di classe. Che sappia tenere unite le lotte studentesche a quelle lavorative, il precariato con le lotte ambientali, l’immaginario di classe con nuove suggestioni militanti.

L’altra vera assente di ieri è stata quella sorte di “eccedenza” che aveva caratterizzato le manifestazioni del 14 dicembre e del 15 ottobre. Cercare di individuare i perchè di questa assenza non è compito facile, e di certo non breve. Qualche idea cel’abbiamo, ma proveremo a svilupparla in un secondo momento, anche se è un dato di cui tenere conto e che è collegato agli altri punti esposti più sopra.

Per adesso, continuiamo a lottare per la liberazione dei compagni arrestati. Nella giornata della rabbia sociale europea, Roma non poteva rimanere silente. Condannare questa volontà di cambiamento non servirà certo a salvare il potere di turno da una sua probabile sconfessione alle prossime elezioni. L’unico che sembra averlo capito è Beppe Grillo, che con una semplice dichiarazione, tanto banale quanto populista, è riuscito ancora una volta là dove ancora non riescono i vari dirigenti politici della sinistra, più occupati a chiedersi come racimolare voti in complicate ammucchiate elettorali che non a fomentare la rivolta sociale contro questo governo.