La crisi si abbatte sull’economia reale

La crisi si abbatte sull’economia reale

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Secondo i dati del ministero del lavoro, scopriamo che la cassa integrazione fra Dicembre  Gennaio è aumentata del 525%. Interessante il linguaggio usato. Affermare che la cassa integrazione è aumentata, tralaltro così drasticamente, è un simpatico sotterfugio per dire in verità un’altra cosa: e cioè che sono aumentati i licenziamenti e i disoccupati. E quelli che non sono già senza lavoro, lo saranno fra poco, in attesa del prossimo rinnovo che non ci sarà, o della fine dell’elemosina che i governi continuano a chiamare cassa integrazione. Ma la cassa integrazione è una forma di ammortizzatore sociale tutto sommato importante. Insomma, meglio il paracadute che mi consente di andare avanti per un po’ anche senza lavoro piuttosto che il nulla più totale. Il problema è che anche questo sbandierare ammortizzatori che lo stato elargirebbe è una colossale fandonia. Secondo l’ultima indagine della CGIA di Mestre, “un dipendente su due nel settore privato in Italia è senza ammortizzatori sociali. Un esercito di 7.141.300 persone, rileva un’indagine della Cgia di Mestre, pari al 50,9% del totale dei dipendenti italiani”, citiamo testualmente. Quindi, anche questo vantarsi del ministro del lavoro Sacconi di uno stato sociale che difende i lavoratori è una bugia colossale. Insomma, la crisi è arrivata all’economia reale. A pagarla sono le due parti che compongono il mercato del lavoro, i precari da una parte e i lavoratori a tempo indeterminato dall’altra. Per i precari c’è il mancato rinnovo del contratto a tempo determinato. Per i lavoratori “garantiti” (ma da che cosa?) il licenziamento diretto. La maggioranza dei quali senza neanche il paracadute della cassa integrazione. Che, lo ripetiamo, non risolve né attenua il problema visto che si tratta nel migliore dei casi del 60% dell’ultimo stipendio percepito. E per un periodo di 3/6 mesi, poi addio anche elemosina statale.

La situazione è assolutamente grave. Ricollocare i lavoratori licenziati sarebbe dovuto essere l’unico vantaggio della tanto esaltata flessibilità. La cosa, ovviamente, non avverrà, sappiamo già di essere dei buoni profeti in questo. Interessante che il dibattito culturale odierno, anche a sinistra, è tutto incentrato sul discorso degli ammortizzatori sociali e non delle garanzie di trovare un lavoro e di mantenerlo senza ulteriore sfruttamento. Le condizioni esistenti sul posto di lavoro non sembrano più interessare; lo sfruttamento dei “garantiti” (ma da che cosa?) non è più all’ordine del giorno. Tutto è incentrato sul fronte degli ammortizzatori sociali e della redistribuzione del reddito. Tematiche certamente imortanti ma non fondamentali, la dove sarebbe centrale difendere il diritto sancito, anche dalla costituzione, della persona al lavoro, e possibilmente ad un lavoro dignitoso e cercando di attenuare sempre di più lo sfruttamente presente in esso. Ci sembra che dopo alcune conquiste che i movimenti comunisti sono riusciti a portare a casa negli anni passati, si sia entrati in un vortice regressivo che non sembra avere fondo, e in cui anche i movimenti sociali hanno smesso di combattere su questo fronte credendolo ormai perduto.

Le condizioni di vita peggiorano a vista d’occhio. Più passa il tempo più il capitalismo si fa forte e contestualmente la voce dei movimenti si affievolisce, parlando d’altro. Ma che senso ha un discorso sul carovita, sulla redistribuzione del reddito, sugli ammortizzatori sociali, quando le condizioni di lavoro peggiorano sempre di più?