Il piombo e la celtica

Il piombo e la celtica

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Con “Il piombo e la celtica” si conclude la trilogia della celtica inaugurata dal giornalista Nicola Rao. Dopo un primo libro piuttosto scontato, “La fiamma e la celtica”, fatto bene ma che non aggiungeva né toglieva nulla a tutta una bibliografia che inizia ormai ad essere sconfinata sul mondo neofascista, la vera sorpresa arrivava con la pubblicazione del “Sangue e la celtica”. E infatti, immediatamente recensito sul nostro sito, il lavoro di Rao rompe con tutta una serie di schemi piuttosto scontati nel mondo neofascista e affronta il vero tabù dell’estrema destra di questo paese, quello delle stragi e della strategia della tensione. Per un analisi più dettagliata vi rimandiamo alla nostra recensione di un anno fa.

Dunque, spinti da ogni buon proposito che lo scorso libro poteva far supporre, ci siamo immediatamente immersi nella lettura dell’atto conclusivo della ricerca storica e politica del giornalista sull’estrema destra, “Il piombo e la celtica”, appunto.

In questo caso, Nicola Rao prende in esame il terrorismo neofascista dalla metà degli anni settanta all’inizio degli anni ottanta. Non il terrorismo delle stragi e degli inciuci con lo Stato, ma quello idealizzato e idealistico dei pischelletti della Roma bene, e in particolar modo dei NAR. E infatti il libro è proprio una cronistoria ragionata sullo sviluppo della violenza politica, soprattutto a Roma, di una banda di ragazzini ossessionati dal mito della violenza e repressi dalla violenza stessa che i compagni praticavano su di loro.

Dall’incubazione di questa violenza esplosiva, e cioè dalla giornate che porteranno alla morte del neofascista Mantakas nel 1975, alla dissoluzione dei vari gruppetti, in principal modo appunto i NAR, avvenuta all’inizio degli anni ’80.

Iniziamo col dire che anche questo lavoro è ben fatto e affronta un argomento non proprio semplicissimo della storia neofascista italiana. Anche perché di eredi politici i terroristi di destra, e in particolare i NAR, ne hanno veramente pochi. Fa anche sorridere come i vari neofascismi odierni, da Forza Nuova a Casapound, siano la prosecuzione di frange politiche pubblicamente schifate e infamate proprio dai protagonisti di questo libro. I protagonisti odierni dell’estrema destra sono proprio coloro che, chi inciuciando con lo Stato, chi scappando all’estero coi soldi, hanno meno a cuore il racconto politico e storico di questa fase. E se lo fanno, come ogni tanto capita, sembra più per dovere di cronaca, in tanti casi millantando crediti che in passato proprio non avevano.

Poco importa al giorno d’oggi, però è emblematico di come una certa parte della storia politica sia stata sempre poco affrontata, o meglio affrontata male, volontariamente. Problemi loro, si dirà…detto ciò, questo libro ha il merito ancora una volta si indagare su un passato tenuto coscientemente oscuro, poco dettagliato, per lo più idealizzato senza essere compreso.

Nel merito della narrazione e della ricerca, Nicola Rao fa partire la violenza politica “di strada” prima, e armata poi, dalla morte di Mantakas appunto. E’ evidente che è una affermazione piuttosto ardita. Sin dalla fine degli anni ’40 e i primi ’50 sono centinaia in tutta Italia le sezioni del PCI assaltate (una su tutte, proprio a Roma, quella della Garbatella, assaltata da centinaia di neofascisti iscritti all’MSI). Ma non solo; aggressioni alle fabbriche occupate o in sciopero, uccisioni di militanti della sinistra (do you remember Paolo Rossi, 1966?; o Almirante e Caradonna alla Sapienza?)…insomma, la violenza neofascista, soprattutto contro lavoratori , studenti o semplici compagni, c’è sempre stata. Anzi, non solo i primi morti politici del dopoguerra non legati agli strascichi resistenziali vengono proprio da quella parte, ma anche le innumerevoli aggressioni politiche. Non è certo un problema, chiariamo. La politica, soprattutto fatta in un certo modo e per le strade, comporta anche questo. Però è importante ricordarlo, e contestualizzare bene gli eventi. Per fare un buon lavoro storico, tutto qui. Dire che la violenza di strada e la spirale che porterà allo spontaneismo armato dei NAR nasca a metà degli anni ’70 per “colpa” dei compagni troppo violenti è una verità di comodo che può andare bene per qualche libretto in vendita da Raido, non certo per un lavoro importante come questa trilogia.

Detto ciò, senza ripercorrere una cronistoria del libro, segnaliamo invece le cose che più ci hanno colpito. Purtroppo Rao cade anche lui nella mitizzazione, anche inconscia, di quegli eventi, di quella fase, di quelle organizzazioni. Dal racconto si evince molto bene che i NAR, nel loro periodo più fulgido, erano composti da un massimo di 15 persone in tutta Italia, che si aggiravano fra i 17 e i 21 anni.  Il loro capo, Valerio Fioravanti, viene catturato all’età appunto di 21 anni a seguito dell’ennesima sparatoria senza un motivo politico. Le rivendicazioni che faranno da cornice alle innumerevoli vittime, in molti casi davvero “innocenti”, consistono in comunicati di una o due righe, scritti male, in un italiano incerto. Insomma, almeno da un nostro punto di vista, più che un gruppo politico, un omogeneo gruppo di ragazzini piuttosto benestanti, annoiati dalla politica delle assemblee e dei volantinaggi, degli attacchinaggi e delle manifestazioni, ma interessati piuttosto a passare le loro giornate al bar di via Siena o al Fungo e da li partire per le loro scorribande “politiche”. Che, il 90% delle volte, consistevano in rapine per prolungare la propria latitanza dovuta alle rapine, appunto, per fare soldi per comprare altre armi per continuare a fare rapine. Nulla da obiettare se fossero stati una batteria di criminali comuni; il problema è che a tutto questo hanno voluto dare una valenza politica, purtroppo. Sembra anche evidente e comprensibile come l’MSI scarichi immediatamente, nel migliore dei casi, questi pischelli, o, nel peggiore, se ne serva come manovalanza non retribuita.

Anche coloro che non faranno parte dei NAR ma che praticano questa sorta di lotta armata, come alcune frange di Avanguardia Nazionale (si, proprio il partito degli inciucioni, dei servetti di regime, insomma il partito di Delle Chiaie che intanto portava avanti golpe in Sudamerica ) si aggregheranno a questa spirale di violenza per fare rapine, e in molti casi uccidere qualche guardia.

Purtroppo, in tutto questo, a pagarne saranno non solo questi stessi ragazzini, morti troppo presto senza un motivo intuibile, e soprattutto senza un motivo politico. Ma a farne le spese saranno i troppi compagni uccisi da questa follia impolitica. Si dirà che gli anni erano quelli che erano, e oggi indagare su chi ha iniziato e chi no non porterebbe da nessuna parte. Tutto vero. Però lasciateci affermare che da una parte c’era una violenza politica, dall’altra una violenza e basta, senza una ragione politica dietro, che non siano delle deliranti costruzioni ideologiche a posteriori.

Dunque, ottimo l’impegno del giornalista Rao nell’indagare questa parte di storia lasciata volutamente in ombra, e buono anche il livello di cronistoria di quegli anni, che rende veramente bene l’idea. Ed è proprio questo livello che sembra smentire poi determinate affermazioni di Rao stesso, che in certi momenti sembra paragonare questa banda di ragazzini alla lotta armata condotta in Italia in quegli anni. Non è un giudizio di merito, una presa di parte, ma la semplice constatazione degli innumerevoli dati che il libro fornisce ottimamente, in molti casi smentendo appunto le sue stesse opinioni personali.