Il decennio più felice della storia?

Il decennio più felice della storia?

Qualche giorno fa Repubblica dedicava, con sprezzo del ridicolo, alcune pagine dei suoi approfondimenti sul fatto che il pianeta avesse appena vissuto il decennio più felice della sua storia. Migliorate le condizioni economiche, migliorati gli usi e costumi della gente, migliorato addirittura il clima. Sembra assurdo, ma c’era scritto proprio così, il decennio più felice della storia. Uno di quegli articoli epocali di Repubblica, un po’ come quello apparso nel 2006, dove si narrava che per la prima volta tutte le aree geo-economiche del mondo erano in crescita e lo sviluppo economico era finalmente riuscito nel suo obiettivo: garantire una crescita costante e indefinita a tutto il mondo. Neanche due anni dopo il sistema ripiombava in una delle sue cicliche crisi, ma va bene così.

Ora, lungi dall’imparare dai propri errori, il quotidiano di Scalfari e Mauro ci ricasca. Insomma, dovremmo rimpiangere questo decennio. Nessuno se ne è accorto, eppure sembra proprio che nonostante la crisi, non avremo più uno sviluppo di tal fatta. Ma vediamo nel concreto.

Si dice, negli articoli, che il reddito medio mondiale sia addirittura aumentato. Certo, non si fa riferimento al fatto che, per quel miliardo di persone che hanno raddoppiato il loro reddito da 2 a 4 dollari al giorno, nei paesi occidentali tale reddito è stato dimezzato. Certo, la cifra in termini globali farà sempre zero, o magari sarà anche positiva, ma è indubbio che fra due e quattro dollari quotidiani niente cambierà per lo schiavo africano o asiatico che sia. Quei 5.000 euro persi in questi dieci anni dai lavoratori italiani invece incidono eccome. Dunque, è aumentata la povertà assoluta e relativa della popolazione mondiale, anche a fronte di un ipotetico e tutto da verificare aumento generale del reddito mondiale.

Secondo poi, nonostante questi anni di crisi, anche il PIL è stato molto forte nel complesso del decennio. Ora, è evidente che il PIL non descrive nulla dello sviluppo di una nazione, dunque è un indicatore assolutamente inutile se utilizzato in questi termini. In questo Repubblica ci ricasca, nonostante poi durante la settimana si rifà il pelo ospitando tutta una serie di fantasiosi studiosi teorici di decrescite e felicità interna lorda con le quali il quotidiano spera di lavarsi la coscienza. E invece poi, quando deve attuare la sua opera di difesa del sistema, ecco che torna al caro e vecchio PIL.

Non ci inoltreremo nel ricordare le decine e decine di guerre sparse per il mondo, la fine dello stato sociale nei paesi occidentali (non rimpiazzato da una crescita di tale modello di welfare in altri paesi emergenti), il declino dei sindacati e della partecipazione politica e via dicendo. L’obiettivo di Repubblica, come di ogni altro organo centrosinistro, è uno solo: e cioè farci credere che, nonostante le numerose imperfezioni, il modello economico basato sulla globalizzazione in definitiva è un modello vincente. Bisogna solo governarlo meglio, ma dobbiamo salvaguardare tutte quelle istituzioni che lo perpetuano. Non è un caso che il prossimo leader della sinistra socialista francese, Domenique Strauss Kann, sia stato il presidente dell’FMI; non è una caso che il centrosinistra italiano abbia pensato a Profumo, e prima ancora a Draghi, come possibile leader politico di riferimento. Non è un caso perché il centrosinistra è il più strenuo difensore del modello di sviluppo globalizzato. Paradossalmente, molto più di un ipotetico centrodestra, più ancorato a indirizzi neocorporativi o protezionistici. E’ il centrosinistra che guida lo sviluppo del mercato in senso globalizzato e globalizzante.

Poi certo, Berlusconi è un anomalia, un mafioso, il centrodestra è impresentabile, ci sono ministri come Bossi o la Carfagna, tutto quello che volete.  Ma ricordiamoci anche di questo quando ci sentiamo chiedere il nostro voto ogni cinque anni.