Il Corto Circuito non si sgombera

Il Corto Circuito non si sgombera

 

Nel giorno della morte di Dario Fo e della vittoria del premio Nobel di Bob Dylan – due eventi a loro modo storici – viene sgomberato il centro sociale Corto Circuito. Per quanto flebile, ormai sfilacciato o volontariamente negato, esiste un filo rosso che collega idealmente due forme di militanza – politica e culturale – che hanno contribuito attivamente al racconto e all’emancipazione delle classi subalterne. Lo sgombero del Corto Circuito è un atto pensabile solo per i tempi che corrono, un’operazione giudiziaria e poliziesca, più che politica, che descrive bene il costante arretramento che viviamo come movimenti sociali. Quello che per un ventennio abbondante è stato il luogo politico centrale della sinistra antagonista romana – nelle virtù come nelle problematicità, ovviamente – viene trattato oggi come l’ultima delle occupazioni da pacificare e da legalizzare. Un evento impensabile fino a qualche anno fa, reso possibile dal processo di commissariamento della politica in atto da tempo e che a Roma ha raggiunto vette incontrollabili. L’incompetenza o la vera e propria cattiva coscienza della giunta Raggi è sotto gli occhi di tutti, ma questo non spiega le ragioni di questo sgombero. Sbaglieremmo a concentrare, in questo caso, l’attenzione sul M5S al Comune. Non perché questi non si siano dimostrati per l’ennesima volta insensibili alle vicende di un pezzo importante della periferia metropolitana, ma perché la giunta non è l’unico attore di governo oggi presente in città. La Questura da tempo – come minimo dalla giunta Marino – sta giocando una sua partita tutta politica di condizionamento verso le giunte capitoline. Impedire che una giunta ambigua come quella targata Cinque Stelle prenda strade troppo “popolari”, cada negli ammiccamenti di quelle periferie che ne hanno determinato la vittoria elettorale, è uno degli obiettivi a nostro avviso evidenti della Questura romana. Più che un cedimento a sinistra (che, si è capito subito, non è da attendersi), alla Questura preme il mantenimento di una condizione di commissariamento di fatto che ne ha allargato i margini di intervento. Ogni processo politico che ne determina un ridimensionamento, un “ritorno alla politica”, viene in questo senso bloccato sul nascere, condizionato, attraverso una pressione fortissima che si attua contro i luoghi decisionali della politica. La Questura sta chiaramente dicendo che non interessa chi governa politicamente la città, gli spazi di agibilità conquistati con il commissariamento di Tronca verranno difesi e, se possibile, allargati, anche contro il volere di giunte deboli che potrebbero cadere da un momento all’altro. In questa scomparsa della politica le prime vittime sono quei pezzi di sinistra popolare incapaci di resistere nelle loro “ridotte” – sempre meno presenti – e lasciati in balìa degli eventi. La Raggi avrebbe potuto fare qualcosa? Probabilmente. Ma altrettanto certamente la Questura sarebbe andata oltre le volontà politiche della giunta, perché legittimata dal governo attraverso l’operato del Ministero dell’interno, e perché investita del ruolo di ultimo baluardo a difesa dei vincoli europei non solo di bilancio, ma di gestione dei territori. E’ una partita complessa, impensabile fino a qualche anno fa, facilitata dalla scomparsa sociale della sinistra anche a Roma, ma che va inquadrata nel più vasto fronte di forze contrapposte che si agitano in città e si ritagliano un ruolo protagonista qualsiasi sia la volontà elettorale. Ieri è però stata data una risposta importante, anzi decisiva: il Corto Circuito è stato rioccupato dopo un grande corteo territoriale, che ha attraversato la periferia di Don Bosco ed è terminato nei locali del centro sociale violandone i sigilli. Una risposta possibile solo grazie alla profonda internità del centro sociale con il quartiere, che ha sin da subito solidarizzato attivamente coi compagni del Corto e ha partecipato al corteo. La battaglia non è certo finita qui però. Sabato ci sarà una manifestazione in Campidoglio, per portare al centro e al Comune il problema degli spazi sociali, dei palazzi occupati, dell’emergenza abitativa, della legalità che in questa città fa rima con esclusione e privilegio.