Il capitalismo dal volto renziano

Il capitalismo dal volto renziano

 

Parafrasando Hegel, Renzi rappresenta oggi, almeno in Italia, lo spirito del mondo. Uno spirito in camicia bianca e con l’aria un po’ ebete, ma comunque il leader politico che riesce non solo ad avere una concezione chiara dei nuovi rapporti di forza interni alla borghesia, ma anche ad esprimerli nel modo migliore possibile, almeno per un personaggio nel pieno della sua battaglia per aggiornare il sistema politico al nuovo paradigma produttivo. Quando, davanti alla platea finanziaria di Piazza Affari, il Presidente del consiglio afferma che “il capitalismo di relazione è morto”, non intende solamente l’aspetto superficiale interpretato dai media, quello di un capitalismo corrotto e familistico spazzato via dalla crisi economica. L’interpretazione originale la dà lui stesso: “il paese può ottenere molto dalla globalizzazione[…]Per anni si è detto che era solo un problema e gli investitori esteri andavano respinti. Abbiamo invece bisogno di sostenere il capitale straniero”.

Renzi ha ben chiaro che un certo tipo di capitalismo, quello legato alla piccola e media impresa, familiare, “relazionale” appunto, dei distretti, “nazionale”, è finito. Ed è finito non per scelta politica, ma per necessità economica. L’esigenza di competere economicamente con attori molto più produttivi rende impellente per il capitalismo europeo un cambiamento di scenario. Tale urgenza di adeguamento – pena il ridimensionamento economico generale – costituisce la spinta decisiva al processo di accentramento europeista. Renzi non solo ne prende atto, ma lo ha ben chiaro, perché Renzi, a differenza di molti suoi predecessori, ha capito la direzione verso la quale il sistema economico italiano dovrà adeguarsi e vuole esserne il rappresentante. Il Presidente del consiglio sta interpretando il ruolo di portavoce di un pezzo di borghesia, quella europeista transnazionale, nel dichiarare “morto” il pezzo ormai superato storicamente, quello legato al modello keynesiano dei rapporti di produzione. La crisi economica ha portato a maturazione uno scontro inevitabile, un’evoluzione del sistema produttivo alla quale va agganciata una rimodulazione complessiva della governance statale. Il sistema elettorale e della rappresentanza, ruolo e compiti del governo, struttura intermedie di rappresentanza di interessi e di partecipazione, dinamiche sindacali, costituiscono il terreno “sovrastrutturale” da adeguare, con le buone o con le cattive, al nuovo paradigma. Renzi non sta facendo altro che questo: adattare il sistema politico italiano al nuovo sviluppo neoliberista. Ogni tentativo di riportare indietro le lancette della storia è destinato a fallire. In questo senso, rimangono velleitarie dunque tanto le opzioni piccolo-borghesi di riaffermazione di una centralità nazionale della produzione, quanto quelle socialdemocratiche di riproposizione di un modello che non era determinato dalle politiche di “sinistra”, ma dal capitale stesso. E’ oer questo che dalla crisi se ne uscirà in avanti, trovando soluzioni all’altezza dei tempi, e non indietro, sperando nel ritorno ad un modello mandato in soffitta.