Elezioni contro il governo delle banche?

Elezioni contro il governo delle banche?

 

L’avvento della seconda repubblica ha relegato il nostro interesse per le politiche parlamentari decisamente in secondo piano. La scomparsa di una qualsiasi possibilità di rappresentanza degli interessi di classe, la fine di un vero sistema proporzionale, la perdita di potere e autonomia delle istituzioni, sono solo alcune delle ragioni della nostra indifferenza per le vicende parlamentari-governative. Inoltre, hanno sancito il definitivo scollamento fra lavoratori e istituzioni politiche. Scollamento espresso nelle forme più varie, dalla retorica anti casta al qualunquismo strisciante, dall’odio verso la politica al ribaltamento di convinzioni politiche durate decenni.

Il parlamento, meta-luogo in cui avviene una rappresentazione delle diatribe politiche che nulla hanno a che fare con la realtà sociale che dovrebbero rappresentare, è divenuto un microcosmo completamente avulso ed estraneo alla società. In questa fase, quindi, ricercare una rappresentanza parlamentare significa non aver capito molto dell’evoluzione politica dello stato-nazione in questi ultimi trent’anni. E’ anche una delle ragioni per cui commentare ciò che avviene a livello istituzionale ha scarsissima utilità. Come se davvero fosse là che vengono prese le decisioni.

Ovvio, tutti noi seguiamo con interesse (feticistico, a questo punto) ciò che avviene quotidianamente nell’iperuranio della politica “ufficiale”, consci però del fatto che niente di quello che accade là è “reale”. Le decisioni vengono prese altrove: mercati e finanza, banche e istituzioni sovranazionali, governance capitalista che non ha più sede nei parlamenti nazionali. Insomma, sono sempre i padroni che determinano le regole del gioco, ma se prima si servivano della politica oggi si rappresentano da soli. Di conseguenza, i nostri strumenti per combattere queste decisioni sono, o dovrebbero essere, al di fuori dei parlamenti. Nel parlamento, semmai, si va a rappresentare il conflitto, portandolo fin dentro le istituzioni, non a cercare la mediazione. Senza conflitto, nessuna mediazione, per cui nessuna rappresentanza. Lo stato-nazione che trova nel parlamento il suo momento di mediazione di interessi va ancora bene per istituire registri per le coppie di fatto, parlare d’eutanasia, di legge elettorale o del problema carceri..ma non può in alcun modo essere dinamica indipendente rispetto alla politica economica. Può intervenire sulle cornice, senza però mai avvicinarsi al quadro.

 

Detto questo, non ci sembra neanche una soluzione quella di ignorare ciò che sta avvenendo in questi giorni nelle istituzioni, che rappresentano la conseguenza diretta del potere del capitale finanziario sulla politica. Non si pongono più, i mercati, il problema della forma. I governi nominati dalle banche e dalla finanza ci sono sempre stati, ma solo al giorno d’oggi questo avviene senza mediazione, e anzi col plauso unanime di tutte le parti politiche. L’elogio del tecnocrate anti-politico è il punto di non ritorno di quella stessa ideologia che ha delegato al mercato i compiti della politica, che ha svuotato di significato l’istituzione parlamentare e oggi fa finta di rimpiangerla. Il ritorno alla politica viene visto, nel migliore dei casi, come una sconsolata fatalità. Politica vista come impedimento al pieno sviluppo delle potenzialità del mercato.

Un terreno insomma preparato da anni, e che oggi trova la sua più diretta espressione nel futuro governo Monti. Mario Monti è chiaramente espressione del sistema che ha prodotto questa crisi: porta in dote le medesime soluzioni che hanno generato la crisi sistemica decennale, è stato esponente della banca d’investimenti Goldman Sachs, della commissione Trilateral (come Draghi, Prodi, Ciampi, Amato…quanti altri esempi servono per ribadire il concetto che i governi vengono determinati dai padroni?) insomma è uno di quei personaggi che, invece di essere stati spazzati via dagli strascichi della crisi, ha acquisito sempre più potere. Se prima della crisi la politica aveva ancora qualche possibilità di rivalsa, quantomeno agli occhi dell’opinione pubblica, oggi sono proprio i vari Monti di turno ad essere i dominus incontrastati, i veri legiferatori globali senza opposizioni. Oggi i tecnocrati racchiudono in sé maggioranza e opposizione, enfasi antipolitica e anticasta, populismo e efficientismo. Il consenso attorno a Monti è il risultato di anni di retorica antipolitica: del destra e sinistra è tutto uguale, dei politici che rubano, della politica inefficiente, del privato è bello, ecc.. La politica, nei discorsi di Grillo e del popolo viola, di Repubblica e del Corriere, dovrebbe essere cosa di poche persone, al massimo un centinaio di “esperti”, senza colore politico, che lavorano per il bene del mercato e dell’Italia. E’ questo il motivo per cui oggi sono tutti contenti di Mario Monti: perché è la conseguenza diretta di tutti questi discorsi.

Noi come ci poniamo di fronte al governo Monti? Tralasciando l’evidente avversione, già espressa, a Monti e al suo governo, è giusto oggi invocare elezioni anticipate?

In assenza di conflitto sociale e di forze politiche rappresentanti tale conflitto, le elezioni oggi vedrebbero la competizione tra un fronte tecnocratico europeista, e cioè il polo PD-UDC-IDV-SEL, e un polo populista della piccola borghesia antistatale quale il PDL-LEGA, con o senza Berlusconi.  Elezioni che sarebbero vinte dal centrosinistra, che applicherebbe per filo e per segno il programma politico Draghi-Trichet. Quel programma politico che, d’altronde, troverebbe applicazione anche con un eventuale vittoria del PDL. Le alternative, dunque, non ci sono. Un’unica opzione politica, un unico programma elettorale e governativo, senza spazio per voci discordanti. Oggi, dunque, invocare elezioni anticipate non porterebbe da nessuna parte, se non all’inasprimento dell’attacco finanziario all’Italia, che produrrebbe nuove misure anti-sociali. Una spirale senza vie d’uscita.

Che fare dunque? L’unica opzione possibile, dal nostro punto di vista, è l’opposizione al governo Monti, alimentare il conflitto fuori dal parlamento e organizzare l’opposizione nella società e non nel mondo della politica. Monti, Bersani, Berlusconi, Bossi, Di Pietro o Vendola in questo momento sono assolutamente speculari. Preferire l’uno o l’altro è solo il giochetto perverso organizzato dal capitale, che stimola il conflitto politico fra identiche fazioni, e in luoghi ormai svuotati di potere, per sviare il discorso. E’ ben diverso da un semplice discorso anti-politico o qualunquista. Non stiamo dicendo che gli interessi padronali di Berlusconi o Monti sono equivalenti al percorso politico riformista di Vendola (che non è un padrone). Stiamo dicendo che, oggi, qualsiasi leader politico e qualsiasi forza parlamentare non ha margine di manovra ed è solamente funzionale alla gestione di programmi politico-economici decisi in altri luoghi. Anche il più comunista dei partiti oggi sarebbe solo funzionale a questo gioco. A maggior ragione vista l’assenza di forza politiche “di classe”. Partiti d’opinione senza nessun legame sociale con chi dicono di voler rappresentare. Partiti leggeri, post-moderni, di inclinazione culturale, che passano dall’8% all’1% nello spazio di pochi mesi, che possono arrivare al 20% o al 5% solo grazie a una buona campagna elettorale o alle mediaticità del proprio leader.

Insomma, i nostri percorsi dovrebbero essere, in questo momento, completamente slegati dalle dinamiche parlamentari. Accanirsi contro Monti non ha senso, come se fosse possibile l’alternativa nel palazzo senza il conflitto. L’alternativa, o l’egemonia, si costruisce fuori, poi si valuta se portarla nel palazzo o meno, ma oggi come oggi questa soluzione non è all’ordine del giorno. Quindi Monti si Monti no è un falso problema.