Ecce Homo

Ecce Homo

“…e allora diciamolo che uno stronzo”. Questo è quello che molti oggi dovrebbero dire di Travaglio; anzi, a dirla tutta c’era da ammetterlo tempo fa, ma nella sinistra che va a rovescio e crea “miti a tempo determinato” capita di essere distratti e soprassedere sulle contraddizioni più grandi. Pressappoco così nacque la grande stima che la sinistra di salotto rivolge oggi al nostro carceriere, ormai punta di diamante di quella nuova tendenza che è il giustizialismo all’italiana, la risposta più gretta che si potesse opporre allo strapotere del berlusconismo – quanto mai dannoso non tanto (e non solo) nelle sue aberrazioni parlamentari e sociali, quanto in riferimento allo spaesamento indotto di cui soffrono la cultura e la politica di sinistra, incapaci di disegnare miti, simboli e parole figlie della propria storia.

In un’intervista rilasciata ieri su Vanity Fair (a cura di Sara Faillaci), il nostro tuttologo dagli occhi blu è uscito finalmente allo scoperto (per chi avesse bisogno di conferme) mostrando l’altra faccia dell’impero. “Conservatore”, “dalla parte dei celerini”, “filoisraeliano” e “giustizialista”; oltre ad essere accuse che la nostra dignità muove ad uno degli amici più cari del partito di Repubblica (che annovera personaggi ugualmente discutibili, come Saviano – oggi invece sbandierato come nuova frontiera dell’impegno politico…), sono prese di posizione che lo stesso Travaglio ha ribadito nell’intervista in questione (che vi proponiamo di seguito). Che fosse un avversario politico noi lo sapevamo; ora, scendessero dalle nuvole i benpensanti che vedevano in lui – ed ingenerale nell’antiberlusconismo fine a se stesso – la nuova ribalta della cultura politica di sinistra.

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Marco Travaglio: com’è cominciata la crociata contro Silvio Berlusconi

(di Sara Faillaci)

“Montanelli in lacrime che ci salutava per colpa di quello lì. Ecco quale è stato l’inizio”. La crociata di Marco Travaglio, 46, contro Berlusconi è cominciata così. Il fondatore e vicedirettore del Fatto Quotidiano, cronista giudiziario e spalla di Michele Santoro ad Annozero lo racconta a Vanity Fair in edicola dal 20 aprile. Proprio per ricordare il padre del giornalismo italiano a dieci anni dalla scomparsa, Travaglio porta in teatro uno spettacolo con Isabella Ferrari che debutta a Bologna il 29 aprile.

Si definirebbe un uomo di destra?

“All’estero mi collocherei in un polo conservatore. In Italia invece non mi identifico in nessun partito di destra. Mi è capitato di trovare in alcuni politici di centrosinistra sprazzi della destra come la intendo io. Prodi, per esempio”.

Fini?

“Ho molto apprezzato il suo coraggio. La classe dirigente che lo circonda, però, non mi pare all’altezza di una destra legalitaria”.

Se non è di sinistra, perché continua a lavorare in giornali e trasmissioni di quell’area politica?

“Perché, mentre gli elettori di destra sono uguali ai loro politici, gli elettori di sinistra sono meglio della loro classe dirigente. Più aperti”.

Quindi fra lei e Santoro non c’è differenza.

“Si sbaglia: c’è. Michele appartiene ideologicamente al ’68. Se io fossi stato grande in quegli anni, avrei finito per stare dalla parte dei celerini. I fighetti in Ferrari che vanno a manifestare contro i baroni mi danno fastidio. Odio i radical chic”.

Con Santoro litiga mai?

“Solo su Israele. Lui è filo palestinese. Io filoisraeliano. Lui libertario, io giustizialista: se uno ruba, vada in galera”.

Quali erano invece i suoi miti da giovane?

“La disco music: gli Abba, i Bee Gees, Gloria Gaynor”.

Tutte icone gay. Manca solo la Carrà.

“La adoro. Soprattutto da quando, ospite da Fazio, ha detto che legge Il Fatto tutte le mattine. Me la sarei baciata”.