Dalla “giornata del ricordo” al ricordo dei repubblichini, con tanto di medaglia

Dalla “giornata del ricordo” al ricordo dei repubblichini, con tanto di medaglia

 

Trecento fascisti, in molti casi acclarati (persino per l’Italia!) criminali di guerra, nel corso di questi dieci anni hanno visto la propria memoria rivalutata e i propri parenti medagliati dalla Repubblica (antifascista, nata dalla Resistenza, etcblabla). Ecco a cosa porta lo sdoganamento politico del fascismo attuato tramite la “giornata del ricordo”, il segno duraturo dell’azione svolta da AN nei vari governi Berlusconi a cui partecipò da protagonista. Come abbiamo innumerevoli volte cercato di dire, e insieme a noi pochi altri militanti, commentatori e storici, l’istituzione della “giornata del ricordo” altro non fu che la certificazione di un rapporto politico finalmente ribaltato. Dalla Repubblica antifascista si è passati prima ad una Repubblica a-fascista, per sostituire il carattere a-fascista con quello anticomunista. Oggi il terreno della politica “ufficiale” è caratterizzato da una sola e definitiva conventio ad excludendum: l’anticomunismo. L’ultimo appunto sarà quando la Ue stabilirà definitivamente il reato di “negazionismo”, che oggi, tramite le mille trasmutazioni politiche e i traslitteramenti semantici, significherebbe unicamente reato di comunismo, vista la più che sostanziale equiparazione storico-politica delle vicende dei vari “totalitarismi” novecenteschi.

Più del protagonismo della fu Alleanza Nazionale poterono le varie rimodulazioni del PCI, dai Ds al Partito Democratico, veri tutori della “giornata del ricordo” attraverso la promozione delle retoriche sull’equiparazione delle ragioni dei combattenti, fatta in primo luogo da Napolitano e a scendere da tutto il restante ceto politico oggi renziano. Non solo. Anche una certa impostazione neo-coloniale continua a spingere per la difesa delle “ragioni degli italiani” nelle vicende che caratterizzarono il confine orientale e in particolare nei rapporti tra Italia, Slovenia e Croazia. Tra i medagliati, gente di tale calibro, come riporta stupefatto addirittura il Corriere della Sera (23 marzo 2015), e in questo caso la parola “addirittura” non fa giustizia del senso di stupore, visto che il principale organo della borghesia nazionale da sempre ha lottato per tale processo storico di equiparazione:

Il carabiniere Bergognini – era l’8 agosto 1942 – partecipò a un raid nell’abitato di Ustje, in Slovenia. Case incendiate, famiglie radunate nel cimitero, picchiate. Sino a che 8 uomini «vennero presi, torturati di fronte a tutti e uccisi con il coltello o con il fucile». Il finanziere Cucè spedì nei lager e fece fucilare «diversi patrioti antifascisti» torturando gente così come fecero l’agente Luciani e i militi Privileggi e Stefanutti. Testimonianze (che sono riferite ai loro reparti) raccontano di «occhi cavati, orecchie tagliate, corpi martoriati, saccheggi nelle case». Serrentino, tenente nella Grande guerra, fiumano con D’Annunzio, fece fucilare decine di persone nella città di Zara, di cui era prefetto.

Questa la gente che lo Stato oggi celebra come martiri di una presunta e storicamente non verificata “pulizia etnica”, per di più attraverso azioni, quali l’infoibamento, anche qui storicamente non provate e in ogni caso numericamente irrilevanti nella vicenda più generale della guerra di Liberazione italo-jugoslava dal nazifascismo. I fascisti di ieri vengono oggi descritti unicamente come “italiani”. Salvo poi accusare le popolazioni slave di ieri di aver indebitamente accomunato ogni italiano ad un fascista. Identificazione perfettamente logica, dopo un ventennio di italianizzazione e fascistizzazione forzata delle terre istriane, giuliane e dalmate.

Lo Stato che premia i combattenti fascisti della Rsi specifica qual è il suo principale nemico, e cioè quella memoria storica capace di contestualizzare gli eventi a cavallo del conflitto bellico. Non c’erano “italiani” e slavi”, ma fascisti, italiani, tedeschi e anche slavi, contro antifascisti, anch’essi italiani, tedeschi e anche slavi. E le ferite che quelle vicende produssero non nascono nel ’45, ma da una visione politica che oggi viene premiata dallo Stato e soprattutto dai governi di centrosinistra. A settant’anni dalla Liberazione, l’ennesimo oltraggio alle ragioni della Resistenza partigiana, l’ennesimo passo verso una Repubblica libera da ogni riferimento politico costituente che non sia la gestione economica di un territorio.