coccodè

coccodè

pollo-rosso

La cosiddetta sinistra radicale, dopo aver dilapidato ogni credibilità di fronte ai lavoratori di questo paese, è oggi in fibrillazione per via della soglia di sbarramento del 4% introdotta dalla legge elettorale per le europee. Il superamento di questa soglia sarà essenziale, oltre che per l’elezione di qualche eurodeputato,  anche per poter accedere ai rimborsi elettorali che, dopo il meritato tracollo delle politiche, sono diventati indispensabili per tenere in vita dei partiti arrivati economicamente alla canna del gas. Stando agli ultimi sondaggi (leggi) c’è la concreta possibilità che nessuna delle due liste riesca nell’obiettivo mettendo così fine all’agonia di organizzazioni che hanno da tempo smarrito la loro ragion d’essere. O comunque si tratterà al più di micro partiti confinati nel campo della testimonianza residuale. Su questo scenario e sulle sue possibili implicazioni abbiamo già scritto e torneremo a farlo. Non è però questo quello che ci premeva sottolineare oggi. Ammettiamo pure che la Lista Comunista (PRC+PdCI+Salvi), l’unica delle due che al momento sembra poter nutrire qualche speranza, centri il bersaglio… cosa accadrebbe in tal caso? Innanzitutto c’è da dire che si tratterebbe, anche nelle migliori delle ipotesi, di pochi punti percentuali sopra l’asticella del 4%, il che equivarrebbe a 3 o a 4 europarlamentari a seconda che il risultato si attesti sotto o sopra il 4,6%. E sapete quanti di questi sarebbero espressione del mondo del lavoro, dei movimenti di lotta o dell’associazionismo? Nemmeno uno. A dispetto dei proclami e delle buone intenzioni profusi a piene mani dopo lo sfacelo delle politiche i 3 o 4 deputati sarebbero (saranno) esclusivamente espressione di un ceto politico che sta cercando disperatamente di ricollocarsi. Per giungere a tali conclusioni non serve certo la sfera di cristallo, basta leggere le liste dei candidati. Qualora venga superato il quorum le circoscrizioni che esprimeranno un deputato sono quella del Centro-Italia, quella del Nord-Ovest e quella del Sud, a cui si aggiungerebbe un eletto del Nord-Est nel caso di una percentuale superiore al 4,6. E chi sono i candidati forti in queste circoscrizioni? Al Nord-Ovest c’è Vittorio Agnoletto (indipendente in quota Ferrero). Al Nord-Est Oliviero Diliberto (segretario del PdCI), dietro cui sgomitano Alberto Burgio (PRC quota Grassi) e Lidia Menapace (PRC quota Ferrero). Al centro nuovamente Oliviero Diliberto con dietro di lui Fabio Amato (PRC quota Ferrero). Al sud Michelangelo Tripodi (PdCI quota Diliberto). E nessuno di questi, al di la della sua rispettabilità o meno, rientra nell’identikit sociale descritto sopra. Ma c’è di più. A ben vedere chi ne uscirebbe comunque sconfitto sarebbe il segretario di Rifondazione, Ferrero, e la sua componente all’interno del partito. E anche in questo caso si potrebbe far benissimo a meno della sfera di cristallo. Immaginate uno scenario del genere:
Nord-ovest
1° eletto Vittorio Agnoletto
Nord-est
1° eletto Oliviero Diliberto
Centro-Italia
1° eletto Oliviero Diliberto
Sud
1° eletto Michelangelo Tripodi
Se la percentuale garantisce 3 eletti, allora due di questi saranno del PdCI (Diliberto e Tripodi) ed il terzo un indipendente (Agnoletto). Se invece dovesse miracolosamente uscire fuori il quarto eletto allora Diliberto dovrà scegliere fra la circoscrizione del Nord-est, dove per il secondo posto se la giocano Burgio e Menapace. Oppure quella del Centro-Italia, dove presumibilmente arriverà secondo Fabio Amato. Scommettiamo che se Burgio arriva secondo il segretario del PdCI segherà Fabio Amato? E così al parlamento europeo si ritroverebbero un indipendente, un grassiano e due comunisti italiani. Con buona pace dell’ingenuo Ferrero che sembra proprio essersela fatta intortare ben bene e che pur rappresentando la componente maggioritaria di quel che resta del PRC ha regalato a Grassi e soci: l’organizzazione, la tesoreria e gli eventuali eletti. Ossia, il partito. Questo fatto, che comprendiamo bene non potrà che annoiare chi campa del proprio lavoro, non fa che rafforzare quei rumors che parlano di un patto trasversale tra dilibertiani e grassiani pronti a ritraghettare un ipotetico “miniPCI” nato dalle ceneri di PRC e PdCI nelle più confortevoli acque di un approdo centrosinistro. Ossia pronti, dopo un po’ di moine identitarie che tanto piacciono alla base in buonafede, a stringere nuovamente accordi col PD. A ben vedere, dunque, per i lavoratori di questo paese le alternative sembrano due ma in realtà è una sola: o sparisce immediatamente ciò che resta della cosiddetta sinistra radicale istituzionale, oppure si estinguerà più lentamente tenuta in vita per un po’ dalla respirazione bocca a bocca dei dalemiani del PD. Ma allora non converrebbe forse che si facesse chiarezza subito, magari per costruire davvero qualcosa di diverso? Ai posteri (e agli elettori) l’ardua sentenza.