Cocaina nera. Dal Venezuela, passando per Napoli, spunta ancora il nome di Stefano Delle Chiaie

Di Saverio Ferrari (da Left del 3/10/2008 )

All’alba del 4 luglio scorso, per traffico internazionale di droga, veniva arrestato nella sua abitazione di San Giuliano Milanese un agente di polizia municipale, Domenico De Falco, di 41 anni, in servizio a Gaggiano, un comune alle porte di Corsico.
Originario di Pomigliano d’Arco, Domenico De Falco, una gran passione per le auto di lusso, era noto per il suo carattere irruento. Si era già fatto conoscere nel paese per alcuni diverbi coi cittadini. Assunto come vigile urbano nel 2001, aveva lavorato fino al 2005. Dopo un’interruzione di quasi due anni, nell’aprile del 2007 era tornato a Gaggiano, ma qui, a causa di una condanna per rissa con un capostazione, era stato privato della pistola e destinato a mansioni da centralinista al comando dei vigili, presso il Municipio in via Roma.
Tutta la storia ha inizio il 26 agosto 2005 con il sequestro a Castello di Cisterna, in provincia di Napoli, di un grammo di cocaina trovato in possesso di Domenico Piccolo. Dal controllo della sua utenza telefonica, da pedinamenti e appostamenti, si arrivava, due settimane dopo, a intercettare ben due chilogrammi di cocaina all’aeroporto di Malpensa, nascosti all’interno di alcune opere d’arte. A trasportarle Raffaella Parenti, 43 anni, di origini genovesi, di ritorno da un viaggio in Venezuela.
Istruttrice di tecniche di difesa personale e responsabile della sicurezza di importanti industriali e personaggi pubblici, Raffaella Parenti, finita in manette, decideva quasi subito di collaborare con la giustizia rivelando nomi e cognomi del gruppo di narcotrafficanti di cui aveva fatto parte, segnalando in primis Domenico De Falco, conosciuto proprio a Milano nel 2003, con cui aveva intrecciato anche una relazione sentimentale.

IL BLITZ

Dopo tre anni di lunghe e laboriose indagini, scattava agli inizi di luglio il blitz. Trentatré erano gli arresti che venivano effettuati dai carabinieri su richiesta del pm Vincenzo D’Onofrio della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Ciò che maggiormente aveva attirato l’attenzione degli investigatori era stata la ricostruzione di un incontro (poi saltato) tra Raffaella Parenti, Domenico De Falco e “don Paolo” successivamente identificato in Paolo Di Lauro, all’epoca latitante, boss di una delle più potenti organizzazioni del narcotraffico internazionale. “Era il febbraio 2005 – raccontò la Parenti ai magistrati – “il De Falco mi portò con sé nei pressi della stazione Circumvesuviana di Pomigliano, dove c’erano ad attenderci cinque persone. Una era quella che successivamente ho saputo chiamarsi Piccolo Domenico, delle altre quattro non mi venne detto il nome; solo una di queste mi fu detto che era nipote di un boss della zona appartenente al clan Foria. De Falco mi rappresentò che da lì a poco avremmo incontrato un importante latitante, ma l’incontro saltò dopo che il nipote del boss locale, ricevuta una telefonata, avvertì gli altri che tale don Paolo non avrebbe potuto incontrarci, in quanto quel giorno non passava da Scampia. Rientrammo io e De Falco a Genova. A mia richiesta sulle ragioni di quell’incontro, De Falco fu molto evasivo, anche se mi parlò di quel latitante che avremmo dovuto incontrare indicandolo con il nome di Ciruzzo”. “Ciruzzo” non era altri che Paolo Di Lauro. Pochi mesi dopo, nel settembre 2005, fu arrestato a Secondigliano.
Dalle intercettazioni telefoniche e ambientali emergeva con evidenza che era stata messa in piedi, con l’appoggio dei Di Lauro e degli “scissionisti”, una rete di piccoli imprenditori e commercianti che aveva inondato di cocaina la Campania. De Falco teneva i contatti con Di Lauro e un esponente della famiglia Foria. Il centro dello spaccio era a Pomigliano d’Arco in due locali: al bar “Zelig”, nel centro storico, e alla pizzeria “Lo sfizietto”. Due le rotte della droga: una dal Venezuela e una dalla Spagna. Gli stupefacenti iberici venivano poi trasportati in auto modificate con appositi vani grazie a carrozzieri compiacenti. Ma c’era qualcosa di più.

CAMORRA ED EVERSIONE NERA

“Nell’estate 2004” – spiegò Raffaella Parenti – “De Falco riprese i contatti telefonici con Delle Chiaie, per non meglio precisati affari che aveva con lui. Il De Falco in gioventù aveva fatto parte del Fuan e di Ordine nuovo. So che i contatti con Delle Chiaie li aveva attraverso una persona di Pomigliano che mi sembra faccia l’assicuratore. Il capitale di avvio, pari a 15 mila euro, non so chi materialmente lo abbia consegnato a De Falco; so peraltro che quella somma era stata messa a disposizione per gli affari di droga in parte dal gruppo Foria (nota famiglia camorrista ndr) ed in parte dal gruppo legato a Stefano Delle Chiaie”. Domenico De Falco era dunque il punto di congiunzione anche fra camorristi e neofascisti.
“In realtà entrambi i gruppi avevano raggiunto un accordo criminale per effetto del quale” – disse ancora la donna – “si scambiavano anche uomini ed armi”. Secondo la donna parte dei ricavi servivano a finanziare uno strano gruppo paramilitare che si addestrava in alcuni siti, usati, sembrerebbe, anche dall’esercito.
“I finanziamenti del gruppo paramilitare provenivano in parte dal denaro corrisposto da alcuni imprenditori interessati all’attività dell’organizzazione e in parte dal traffico di cocaina. Furono proprio i contatti del Delle Chiaie con il Venezuela che vennero poi sfruttati da De Falco per l’acquisto di droga”. Tra gli altri, da quanto emerso dalle indagini, sarebbero stati individuati un ex capo della polizia venezuelana e un tassista di Caracas, tale “Raffaele”, che in passato aveva aiutato Stefano Delle Chiaie durante la sua latitanza.

DELLE CHIAIE E “IL MACELLAIO DI LIONE”

Stefano Delle Chiaie, il fondatore nel 1960 di Avanguardia nazionale (disciolta grazie alla legge Scelba nel giugno 1976 per ricostituzione del partito fascista), aveva avuto rapporti molto stretti con il Venezuela. Era lì, a Caracas, che era stato arrestato dopo ben 17 anni di latitanza, il 27 marzo 1987, dopo una lunga carriera al soldo delle giunte militari sudamericane. Per lui pendevano due mandati di cattura: uno per la strage di piazza Fontana e l’altro per la carneficina alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, 85 morti e oltre 200 feriti.
Fu in seguito assolto in entrambi i processi. Ma fu proprio per sfuggire a un mandato d’arresto del luglio 1970, relativo alla bomba del 12 dicembre 1969 alla Banca nazionale dell’agricoltura di Milano, che iniziò vagabondare in diversi paesi e a lavorare per le più feroci dittature dell’epoca. Prima in Spagna, poi in Costa Rica, quindi in Cile (a libro paga di Pinochet insieme a diversi altri di Avanguardia nazionale, assunti come killer per assassinare gli oppositori del regime), in Argentina e in Bolivia, dove riuscì a conquistarsi una posizione influente legandosi a Klaus Barbie, l’ex criminale nazista, conosciuto come “il macellaio di Lione” per i crimini sadici e orrendi di cui fu protagonista, a capo della Gestapo, contro ebrei, comunisti e resistenti.

“IL GOLPE DELLA COCAINA”

Barbie, con una taglia sulla testa, era fuggito nel 1951, sotto la falsa identità di Klaus Altmann, grazie ai servizi segreti americani, imbarcandosi a Genova alla volta di Buenos Aires. Trasferitosi in Bolivia, non solo commerciò in armi e droga, ma partecipò anche al colpo di Stato che nel 1980 portò al potere Luis Garcia Meza Tejada. Sembrerebbe che a organizzarlo sia stato proprio Barbie, con l’aiuto di neonazisti di vari paesi, di Stefano Delle Chiaie e del suo fidato braccio destro Pierluigi Pagliai. Passò alla storia come il “Golpe della cocaina”. I gruppi paramilitari che agivano per conto di Garcia Meza, conosciuti come “los novios de la muerte”, i fidanzati della morte, si occuparono, infatti, di eliminare i piccoli narcotrafficanti per poter controllare totalmente il mercato.
Barbie fu estradato in Francia nel 1983 e condannato all’ergastolo nel 1987 per crimini contro l’umanità. Morì di leucemia nel 1991 durante la sua detenzione proprio a Lione.
Queste vicende, passando per Pomigliano d’Arco e Castello di Cisterna, ora tornano alla ribalta. Storie di neofascisti, camorra e narcotrafficanti, di ieri e di oggi. Gli atti giudiziari relativi al “filone nero” dell’inchiesta sono ora stati trasferiti all’”antiterrorismo” e alla Procura di Roma. Attendiamo sviluppi.