Ci vergognamo che sei stato comunista
L’altro ieri “Il Riformista” ha pubblicato un articolo di Luciano Violante sulla questione delle “foibe” e dell’esodo che invitiamo a leggere con molta attenzione (qui). Perché al di la del titolo ad effetto, “Mi vergogno di essere stato comunista”, una scelta dell’editore non condivisa deputato del PD, quello che più interessa (e fa incazzare) sono le tesi esposte da Violante nel succitato articolo. In sostanza il buon Luciano, non nuovo a queste uscite revisioniste (leggi), poggiando su un’imbarazzante ignoranza della storia del cosiddetto confine orientale arriva ad auspicare la costruzione di un’identità nazionale comune che sappia tenere dentro anche la storia dell’altro. Un ecumenico “scurdammoce ‘o passato” che in nome dell’italica appartenenza riunisca sotto il tricolore tutti, indistintamente: fascisti e antifascisti, repubblichini e partigiani… padroni e proletari. Perché altrimenti, sostiene ancora Violante, “continueranno ad esistere due Italie diverse” mentre l’interesse del paese è uno solo. Ci permettiamo di notare che “stranamente” questo interesse che dovrebbe essere “uno solo” finisce poi sempre per coincidere con quello delle classi dominanti e mai con quello dei lavoratori, ma questo per Violante è un dettaglio trascurabile. C’è un passaggio, però, che più degli altri fa rabbrividire e che citiamo per intero: costruire l’identità italiana avendo il coraggio di farci entrare anche la storia dell’altro, condannando tutto ciò che bisogna civilmente condannare… Ci permettiamo, nuovamente, di ribaltare il concetto perché “l’altro” di cui parla Violante è, fuor di eufemismo, il fascismo. Ora, cosa dovremmo recuperare della storia di una dittatura durata vent’anni? Cosa, del fascismo, dovrebbe entrare a far parte di questa auspicata identità condivisa? Le repressioni antiproletarie? Gli omicidi politici? Il colonialismo? Le leggi razziali? No, perché messa così sembrerebbe che alla fin fine i torti si sono equivalsi, su un fronte e sull’altro, e che del regime fascista sia comunque possibile recuperare qualcosa come patrimonio condiviso. E per suffragare questa tesi Violante arriva a porre sullo stesso piano, come il peggior neofascista, “chi stava sui vagoni piombati e chi è precipitato nelle foibe”. Fermo restando che è sempre orribile fare la contabilità dei morti, questo accostamento è semplicemente obbrobrioso. Come si può anche solo pensare di equiparare la sistematica eliminazione di oltre 6.000.000 di uomini, donne e bambini con un fenomeno estremamente circoscritto che ha coinvolto non più di 700 persone, quasi tutte coinvolte col regime nazifascista. Da una parte ci sono le vittime e dall’altra i carnefici, e queste storie sono state, sono, e rimarranno sempre inconciliabili, checché ne dicano Violante e soci. Ancora più indicativa, però, è l’accoglienza che è stata data al mea culpa di Violante dagli opinion maker dei grandi mezzi d’informazione. Oggi Piero Ostellino, con un editoriale in prima pagina del Corsera, rende l’onore delle armi all’ex nemico sconfitto ed omaggia il coraggio mostrato dal deputato del PD invitando tutti a non specularci sopra. Come a dire, accontentiamoci per adesso di questa pubblica assunzione di responsabilità, perché contribuisce in maniera preziosa a collocare anche i comunisti italiani sul banco degli imputati nella storia che stiamo riscrivendo. Una storia che serva al presente, ed influenzi il futuro. Una storia che dimostri, finalmente, come ogni tentativo di superamento dell’esistente non possa che tradursi in lutti ed orrori e che pertanto questo è l’unico mondo possibile, e che allora tanto vale rassegnarsi e tornare a contribuire all’interesse della nazione.
Gli oppressi sono la mia patria, gli oppressori i miei stranieri.