cercavi giustizia, incontrasti la legge…

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Le modalità con cui magistratura e polizia stanno gestendo le indagini sul brutale stupro della Caffarella sono un esempio illuminante della filosofia su cui poggia la giustizia in questo paese, ovvero la regola non scritta del forte coi deboli e debole coi forti. Se sei un morto di fame, magari anche immigrato, per di più rumeno; allora rassegnati, per te la presunzione di innocenza non vale. Anzi viene sancita a mezzo stampa la presunzione etnica di colpevolezza, e da quel momento spetterà a te imputato trovare le prove che ti scagionino. Proviamo ad analizzare quanto è successo in questo mese. Il 14 febbraio due adolescenti vengono aggrediti e brutalizzati in un parco romano. I ragazzi indicano presumibilmente in due cittadini rumeni i responsabili della violenza e questo da la stura ad una campagna mediatica che, ignorando le agghiaccianti statistiche dell’ISTAT sugli stupri (leggi), fa montare un clima da caccia alle streghe che coinvolge tutto il territorio nazionale. I rumeni vengono così dipinti come un’etnia (sic) di indole violenta e propensa alla criminalità. La xenofobia si fa senso comune, i bravi cittadini esigono le ronde, il sindaco spiana i campi rom, il governo prepara decreti d’urgenza e i fascisti si sentono legittimati a passare ai fatti. Ne fa le spese un cittadino rumeno aggredito da militanti di Forza Nuova in una pizzeria, il tipo è colpevole esclusivamente di essere nato nello stesso stato dei presunti stupratori. Per intenderci è come se il vostro vicino di casa stuprasse una donna e la folla inferocita se la prendesse con voi perché abitate sullo stesso pianerottolo. Di fronte alla pressione di un opinione pubblica che ha gia spolverato le torce e i forconi da inquisizione la squadra mobile di Roma cerca spasmodicamente i colpevoli, chiunque essi siano, bisogna prendere due rumeni e bisogna farlo in fretta. Il 18 febbraio vengono dunque arrestati Alexandru Loyos e Karol Racz, il primo sarebbe addirittura reo confesso. <Finalmente!>, esulta il popolino, e col petto gonfio d’orgoglio i tutori dell’ordine possono presentarsi davanti alle telecamere per riscuotere gli applausi del pubblico pagante. Arrivati a questo punto i media si scatenano, in barba a ogni regola deontologica le foto dei due ammanettati vengono mostrate in prima pagina sotto i titoloni che con assoluta certezza li indicano come “i mostri della Caffarella”. Nessun dubbio, nessun tentennamento, del resto sono rumeni e baraccati e con loro il condizionale è sprecato, ci vuole l’imperativo categorico Bruno Vespa, da bravo sciacallo, si frega le mani e ci costruisce sopra puntate su puntate di Porta a Porta con politici, criminologi e soubrette uniti nel nuovo sport nazionale: la lapidazione mediatica, e lo share s’impenna. Mediaset non è da meno e a Matrix, quando non sono impegnati a promuovere film e fiction prodotti in casa, non si parla d’altro. La “norizia” è incontenibile e tracima dalle trasmissioni specializzate fino a riempire i palinsesti e i talkshow del pomeriggio. Davanti al televisore adesso l’italietta può tirare un sospuro di sollievo, le “bestie” sono state finalmente rinchiuse. Nel frattempo decine di stupri continuano ad essere perpetrati al calduccio del focolare domestico, ma questo non fa audience per cui non se ne parla. Col passare dei giorni emerge addirittura una possibile implicazione di Racz (quello che i giornali hanno chiamato “faccia da pugile”) in un precedente stupro nel quartiere di Quartaccio, a Roma nord. I giornali ci vanno a nozze, si parla di stupratori seriali, di una vera e propria banda dedita alla violenza carnale, roba che fa gonfiare le tirature. Nel tentativo di conquistare qualche voto PD e PDL danno vita ad un balletto osceno fatto di speculazioni ed accuse reciproche, i primi (sedicenti progressisti) rinfacciano al sindaco di non essere stato abbastanza duro coi clandestini, di non aver mantenuto le promesse elettorali. Della serie: non siamo noi che siamo razzisti, sono loro che sono rumeni. In questo clima le contraddizioni della versione ufficiale non vengono minimamente prese in considerazione, eppure Loyos davanti al giudice ritratta ed accusa due poliziotti rumeni di avergli estorto la confessione a forza di botte, eppure Racz (contrariamente all’aggressore descritto dai due ragazzi) non parla italiano, eppure il primo rumeno riconosciuto dalla coppia è risultato poi essere detenuto da mesi in un carcere di Bucarest. Ma tanto sono rumeni, che ce ne frega di queste minuzie. Poi il colpo di scena che spariglia le carte in tavola: le prime indiscrezioni della scientifica riferiscono che il DNA degli stupratori non corrisponderebbe a quello dei due inquisiti. L’impianto accusatorio scricchiola paurosamente, ma i giornalisti embedded sono tutti allineati e coperti, e si bevono acriticamente ogni assurdità scientifica. Ad un certo punto, con un bizantinismo dialettico degno del miglio azzeccagarbugli gli inquirenti arrivano a sostenere che gli esiti della prova del DNA non dimostrerebbero l’innocenza dei due, ma esclusivamente la loro estraneità rispetto alle prove prese in considerazione fino a quel momento. Uno slittamento semantico di non poco conto. Come di non poco conto sono le affermazioni della polizia riportate dal Corriere della Sera secondo cui l’analisi del DNA dimostrerebbe comunque che i colpevoli appartengono all’etnia rumena (sic). Per la polizia esisterebbe dunque un cromosoma che permetterebbe di risalire alla razza, con buona pace di Watson, Crick e di tutti i genetisti del mondo che da decenni sostengano che il concetto di “razza” non abbia alcun valore scientifico. Passata qualche ora qualcuno fa notare lo strafalcione genetico ed allora la procura aggiusta il tiro ed inizia a parlare del cromosoma Y del DNA analizzato che sarebbe quasi identico a quello di un uomo da mesi in carcere a Bucarest. Quindi l’aggressore non può che essere un parente stretto dell’uomo recluso. A questo punto, però, qualcuno inizia a chiedersi come mai, vista la sua estraneità ai fatti, “il biondino” abbia confessato. La possibilità che abbia subito pressioni dalla polizia, ovviamente, non viene presa neanche in considerazione. Con un opinione pubblica sempre più disorientata si arriva così a lunedì scorso, quando, nonostante la prove a discarico dei due cittadini rumeni, il PM chiede che restino comunque in carcere. A sorpresa, dal cappello a cilindro della procura salta fuori un testimone oculare la cui deposizione collocherebbe i due sulla scena del delitto, contraddicendo quanto affermato da 5 persone che sostengono che Racz a quell’ora era con loro. Ma vuoi mettere la parola di un osnesto professioista con quella di 5 baraccati? Ovviamente no e per i due la procura inizi ad ipotizzare un ruolo da “complici”. Ma come, le prime testimonianze parlavano di soli 2 agressori, e adesso sarebbero come minimo 4… Pensiamo inoltre che dei giornalisti intellettualmente onesti avrebbero almeno dovuto chiedersi come mai, dopo un mese di circo mediatico il testimone si sia fatto avanti solo ora? E poi, dopo che le foto dei “mostri” sono state pubblicate ovunque, che valore potrebbe avere il riconoscimento del testimone ritardatario. A questo punto della nostra commedia dalla farsa si passa al grottesco. Il giorno dopo il giudice riconosce l’innocenza dei due, ma li trattiene comunque in carcere. Racz per lo stupro del Quartaccio, e Layos per aver commesso il “gravissimo” reato, reggetevi forte, di calunnia e autocalunnia. Ora, il carcere prima del processo è (o almeno dovrebbe essere) un provvedimento estremo, previsto solo nel caso che l’imputato si trovi nelle condizioni di scappare, di reiterare il reato o di inquinare le prove. Ma cadute le accuse di stupro secondo quale logica si giustifica la custodia cautelare per calunnia? Se si fosse trattato di un parlamentare o un dirigente di una multinazionale sarebbe stata presa la stessa decisione? Non ci risulta che i vari Tanzi, Cragnotti ecc abbiano subito un trattamento del genere. Nel frattempo però passano i giorni e, altro colpo di scena, anche l’impianto accusatorio sullo stupro del Quartaccio implode. La vittima dice in TV ad Anno Zero di non essere sicura del riconoscimento fotografico, e le analisi dimostrano che il DNA del liquido seminale dell’aggressore non corrisponde a quello del rumeno con la “faccia da pugile”. Nonostante questo, almeno fino a quando scriviamo, Racz si trova ancora agli arresti, per quale motivo? Layos, dal canto suo, inizia a spiegare come ha fatto a rilasciare una confessione piena di dettagli che solo i protagonisti dell’aggressione (e gli inquirenti) potevano conoscere. E’ un elemento importante, perchè è su questo che ormai si basa tutto l’impianto accusatorio. Secondo “il biondino” le risposte giuste gli sarebbero state suggerite a forza di “schiaffi”dai poliziotti connazionali. Esempio: <com’era vestita la ragazza?> <Aveva i jeans!> <Sbagliato> e giù uno schiaffo <Aveva la gonna lunga> <Sbagliato> e giù un altro schiaffo <Aveva la gonna corta> <Bravo, passiamo ad altro>. Vera o falsa che sia questa versione dei fatti, un giornalista che si rispetti, soprattutto alla luce di tutte le falle dell’inchiesta, avrebbe dovuto almeno verificare… e invece nulla, anzi a Porta a Porta viene addirittura mandato in onda il video della confessione (quella senza i poliziotti rumeni). Alla faccia del garantismo e giusto processo. E’ “strano” come si armi un putiferio per non far pubblicare le intercettazioni dei politici ma passi sotto silenzio una violazione così clamorosa dei diritti di Layos. Ma c’è un altro dettaglio inquietante, nella prima versione dei fatti fornita alla polizia entrambe i ragazzi avrebbero raccontato che al momento dell’aggressione si trovavano su una panchina e che poi sarebbero stati costretti a seguire i due sul luogo in cui è avvenuto lo stupro. La stessa panchina e la stessa dinamica dei fatti che successivamente ritorna “coerentemente” anche nella “confessione” di Alexandru Layos. Eppure nel verbale consegnato lunedì scorso al giudice la versione fornita dai ragazzi è parzialmente diversa, superati i primi pudori i due avrebbero ammesso di essere stati sorpresi quando già erano sdraiati sul prato nel luogo della violenza. Ora, mentre la nuova versione dei ragazzi può essere spiegata con la volontà iniziale da parte degli stessi di non far sapere a genitori e parenti di essersi stati sorpresi in atteggiamenti intimi, come è possibile che la versione di Layos collimi con la versione “aggiustata” dei due ragazzi? Questo non avvalorerebbe l’ipotesi della confessione imbeccata? Le sorprese però, come recita una vecchia canzone, non finiscono mai. In queste ultime ore, almeno stando ai giornali, le indagini si concentrerebbero su un gruppo di albanesi e ruoterebbero intorno alla compravendita dei cellulari rubati ai due aggrediti. Confessiamo di esserci persi, ma allora… e il cromosoma Y? E il coinvolgimento dei parenti del rumeno arrestato? Insomma come avrete capito si tratta di una vicenda ingarbugliatissima, in cui i pregiudizi xenofobi e la ricerca di un capro espiatorio ad ogni costo non hanno fatto altro che allontanare la verità con buona pace delle due vittime, proprio per questo, rischiano di non avere giustizia.