Ancora mediazioni?

Ancora mediazioni?

 

Sarebbe facile, oggi, scadere in scontati estremismi buoni forse ad attirare il consenso verbale di qualcuno ma ben più difficile da mettere in pratica. Quello che però è avvenuto ieri rappresenta l’esemplare punto di non ritorno. Solo due giorni prima erano scese, pacificamente – proprio come piace ai liberali – 100.000 persone, che hanno attraversato la valle di Susa. Compagni e cittadini provenienti da tutta Italia, ma soprattutto la stragrande maggioranza della popolazione valsusina. Senza divisioni o scontri interni, non solo tutta la Valle ha manifestato la volontà di opporsi alla costruzione del TAV, ma si è anche difesa e rivendicata i compagni arrestati nelle settimane precedenti, senza distinzioni o contrapposizioni artificiose.

Di fronte a tutto questo, la risposta della politica è stata avviare gli espropri, sgomberare le aree presidiate dal movimento, procedere senza mediazioni e con l’uso della forza alla costruzione del cantiere. Appena avviati gli espropri, avveniva il tentato omicidio di Luca Abbà. Senza neanche capire le condizioni fisiche di Luca, tutti i politici si sono affrettati a ricordarci che la costruzione del TAV va avanti e che di certo questo incidente non rallenterà il percorso. La polizia ha continuato gli sgomberi, come se nulla fosse avvenuto, come se non si stava operando con il peso di un uomo che stava, e sta, lottando fra la vita e la morte.

Sebbene sinteticamente descritti, gli eventi di ieri ci confermano alcune cose: ad esempio, che la politica non rappresenta più quel luogo di mediazione dove far valere quei rapporti di forze sociali che cerchiamo di mettere in campo ogni volta in maniera pacifica e partecipata. Sabato in Val di Susa avrebbero potuto manifestare anche tre milioni di persone, e non avrebbero spostato di una virgola i rapporti di forza presenti sul territorio, proprio perché non c’è più spazio per alcuna mediazione possibile. Il TAV non è questione italiana, men che meno può essere valutata da qualche governante di questa provincia sempre meno rilevante dell’Impero. Il TAV è stato imposto dall’Europa, la Val di Susa è solo un micro territorio sconosciuto che deve accogliere il passaggio di una linea ad Alta Velocità (e ad Alti Profitti) che parte da Lisbona e finisce a Kiev. In Europa non sanno neanche dov’è la Val di Susa, e nessuna manifestazione politica potrà cambiare i piani che il capitale internazionale ha già predisposto: eliminare i treni a velocità normale, economici e che garantiscono il libero spostamento della cittadinanza sul territorio, per sostituirli con treni di classe, per ricchi, superveloci e supercostosi.

Un’altra cosa che impariamo dagli eventi fra sabato e oggi è che la manifestazione della valle è stata fondamentale, ha confermato la cornice entro la quale possiamo intervenire. Ha ribadito, se mai ce ne fosse bisogno, che in quel territorio il rifiuto per il progetto europeo dell’alta velocità costituisce maggioranza numerica e culturale. Detto questo, però, le condizioni cambiano. La manifestazione ha definito il campo di legittimità, ora sta a noi intervenire efficacemente per portare avanti la lotta contro l’Alta Velocità. Sabato abbiamo capito che siamo maggioranza e abbiamo l’appoggio della popolazione valsusina. Ora dobbiamo trasformare questo appoggio in una lotta vincente, praticare gli obiettivi adeguati, capire che la logica dei numeri non è la sola entro la quale possiamo intervenire. La logica dei numeri ha un senso molto più elevato quando dobbiamo far valere il nostro rapporto di forza all’interno della mediazione politica. Ma questa non esiste più. Non sono certo i partiti in parlamento gli interlocutori che decidono se fare o meno il TAV; e se Monti è uno che ha un certo potere decisionale non è certo per il suo ruolo di presidente del consiglio italiano, quanto piuttosto perché è una delle pedine fondamentali del programma neoliberista internazionale. La lotta contro il TAV rappresenta oggi tutte le lotte. Proviamoci.