A gamba tesa sui fascisti

A gamba tesa sui fascisti

abbiati-infame.jpgLo scorso venerdì, leggendo il Corriere della Sera, scopriamo che il portiere del Milan, Christian Abbiati, è un nostalgico del Ventennio, così come da lui raccontato sull’inutile supplemento della Gazzetta dello Sport, Sport Week. Ignoriamo i motivi per cui il prode Abbiati, anziché preoccuparsi di guadagnare il posto da titolare all’interno del trio di portieri più scarso di tutti i tempi (Abbiati, Kalac e Dida, la fabbrica dei mostri), si preoccupi di affermare questo suo credo politico, vergandolo con i soliti distinguo inutili (il fascismo sì, ma senza leggi razziali, alleanza con Hitler e guerra: come dire va bene Moggi come direttore sportivo ma senza che compri arbitri e partite). Si potrebbe obiettare che Abbiati non è un soggetto interessante dal punto di vista calcistico, figuriamoci politico. Questa sua “coraggiosa” dichiarazione (dello stesso coraggio dei Pansa, dei Telese e degli altri revisionisti d’accatto, ovviamente) ha suggerito, però, una piacevole “lettera aperta” al portiere-camerata, trovata in rete a firma di Martino Mai, che sentiamo di condividere a pieno, tanto da riportarla qui sotto.

LETTERA APERTA AL PORTIERE DEL MILAN ABBIATI. L’OUTING IPOCRITA DEL CALCIATORE

Caro Christian, mi permetto di rivolgermi a te con il “tu”, dal momento che abbiamo quasi la stessa età (tu sei del ‘77 ed io del ’79). Leggo una tua intervista rilasciata a Sport Week (supplemento della Gazzetta) in cui dichiari la tua fede negli ideali del fascismo, ultimo di una lunga serie di calciatori che condividono le tue stesse simpatie politiche. Hai poi detto che eri sicuro che la cosa avrebbe provocato scalpore ma non ti volevi tirare indietro nel manifestare il tuo pensiero e le tue opinioni. A me francamente non hanno sorpreso più di tanto le tue dichiarazioni. In effetti non vedo perché, nell’Italia di oggi e nel calcio di oggi, ragazzi ricchi oltre ogni limite del decoro sociale e ignoranti oltre il limite della umana decenza, cresciuti in un ambiente di esasperato agonismo, ottuso maschilismo, rigida gerarchizzazione delle relazioni, razzismo sfrontatamente ostentato, dovrebbero pensarla diversamente. E non mi riferisco qui all’ambiente del calcio che conta, la cui patinata vacuità in un certo senso riesce a tenere a freno, grazie al sapiente lavoro della laicizzazione mercantile, le esuberanze più compromettenti e vistose. Mi riferisco a quel mondo delle giovanili (in cui anche tu sarai cresciuto) e del dilettantismo, ai campetti di periferia, cantati da De Gregori e descritti dalle meravigliose pagine di scrittori come Osvaldo Soriano. In realtà quei campetti di una umanità gioiosa, scanzonata e solidale, sono qui da noi – oggi – solo una suggestione letteraria. Non parlo per sentito dire, avendo girato centinaia di campi e campetti della periferia romana nella mia lunga e non fortunatissima carriera di ruvido terzino destro di una squadra di infima divisione (pur se di discreta caratura a livello giovanile). Chi parla di un calcio corrotto dagli interessi economici e dal circo mediatico che ci ruota attorno – comprese le curve neofasciste con la loro arcaicizzante lotta contro il “calcio moderno”, spesso guardata con simpatia a sinistra per le sue venature anticapitaliste – forse non ha mai sentito le grida di quei padri (e tantissime madri) indiavolati ai bordi di quei campetti ad imprecare contro i figli – degli altri, ma soprattutto propri, per qualche errore di appoggio o di disimpegno – o non ha mai assistito alle devastanti risse che quasi immancabilmente si scatenano dopo decisioni controverse di arbitri-eroi che non so quale fanatismo religioso, quale irresistibile pulsione al martirio spinge fino a quelle lande desolate. Ti risparmio, caro Christian, perché ne sarai esperto, di raccontarti cosa succede – e cosa viene gridato dagli spalti e dalla panchina – quando l’arbitro ha la malaugurata idea di essere di sesso femminile. Chi pratica il calcio dilettantistico sa che nessuno sport – a parte i combattimenti clandestini dei cani, da cui però sono esclusi i padroni – è più gratuitamente violento di questo. Detto ciò, veniamo dunque al motivo della mia irritazione nel leggere la tua intervista. Non sono tanto le tue prevedibili simpatie fasciste a darmi molto fastidio; sono cresciuto in una scuola costellata di celtiche, bomberini ghiaccio, saluti romani e tutto l’armamentario della gioventù romana di ultima generazione e sono abbastanza smaliziato su queste cose. Quello che mi irrita davvero è la trita liturgia di dichiarazione sul perché sei e siete fascisti: “La capacità di assicurare l’ordine, garantendo la sicurezza dei cittadini” e baggianate di questo genere. Nella vostra ottusa, crassa, ma per nulla innocente ignoranza, riducete sempre il fascismo a una grande organizzazione nazionale per il decoro urbano, a una sorta di braccio politico della polizia municipale. Come se uno dicesse che è comunista perché le metropolitane di Mosca erano splendide o liberale perché nell’Inghilterra della signora Thatcher le cabine del telefono erano efficientissime. E poi, immancabilmente, per far vedere il vostro critico distacco da alcune, casuali, degenerazioni, prendete le distanze dalle leggi razziali e dall’alleanza con Hitler. Come se si trattasse di cose accidentali, congiunturali, che nulla avevano a che fare con lo spirito originario di un partito nato per costruire quattro palazzi all’Eur e far arrivare puntuali i treni. Come se si potesse dire: “Io ho grande ammirazione per l’Unione Filatelica Italiana, ma certo non ho condiviso quando hanno organizzato quel vergognoso raduno di collezionisti di francobolli”. Mai uno che almeno si prenda la responsabilità delle sue idee, che onori quel “menefrego” fascista dicendo quello che pensa, quello che veramente pensate. Quel che pensate – giustamente e coerentemente dal vostro punto di vista, come direbbe il nostro ministro della Difesa – lo sappiamo bene noi che leggiamo queste patetiche interviste e lo sapete bene pure voi, caro Christian. Lo sai bene anche tu, che dalle foto del settimane scattate nel tuo soggiorno di eccezionale cafonaggine (tavolo di cristallo con attorno sei sedie… tigrate!) mostri orgoglioso le tue braccia coperte di insulsi tatuaggi. Lo sapete bene, ma mai nessuno che abbia il coraggio di dire: “Ebbene sì, sono fascista, mi stanno sul cazzo i negri, mi piace il Duce, i suoi ideali maschi di forza, di giovinezza, di comando, contro gli intellettualini mezzi froci e comunisti che danno lezioni su camere a gas, campi rom e altre stronzate del genere”. Invece no; siete li tutti a negare e a dire “ma figurarsi”. Come Buffon quando disse che non sapeva che “Boia chi molla” fosse un motto fascista, come Aquilani che disse che i cimeli in casa sua erano regali di uno zio ma lui non ci capiva nulla di politica, come Di Canio che disse che il suo non era un saluto romano ma un saluto alla curva col braccio poi equivocato dai giornalisti. Manco come fascisti siete buoni.