Rileggendo Victor Serge

Rileggendo Victor Serge

 

Ha ancora senso rileggere le Memorie di Victor Serge? Intesa seriamente, è una domanda che pone più di un problema. Il militante politico di questi anni, non necessariamente giovane ma già fuori dalla storia del Novecento (lontano non tanto anagraficamente, quanto soprattutto intellettivamente), leggerebbe senza difficoltà e con ammirazione le straordinarie esperienze politiche dell’autore, si entusiasmerebbe del suo spirito critico, e al tempo stesso sarebbe naturalmente portato a disprezzare la macchina repressiva del socialismo realizzato. Troverebbe conferma della sua tensione anti-totalitaria, scoprirebbe quelle parole, quelle idee di fuoco e al tempo stesso accorte, che confermerebbero la sua rottura ideale con il comunismo, col maledetto XX secolo di guerre e dittature, di sinistra e di destra. Se si è alla ricerca di uno strumento che agiti le coscienze inquiete segnate dalla precarietà e dallo straniamento post-moderno, Victor Serge ha una funzione liberatoria e profetica. Questa lettura mancherebbe però di gran lunga la comprensione effettiva del suo testamento biografico. Dovremo allora chiederci: serve al giorno d’oggi un libro che ci racconti l’orrore del Novecento? Di un testo che, per quanto sopraffino, non farebbe che confermare l’ideologia media dominante, che relega i «totalitarismi» dello scorso secolo a tragico e inevitabile destino di ogni critica della democrazia liberale? No, non serve. Se siamo solo alla ricerca di conferme sull’orrore del comunismo leggiamo pure estasiati Victor Serge. Non ne comprenderemo che una patina ordinaria e volgarizzata, ad uso e consumo del post-moderno, della democrazia liberale, dello status quo, dell’esodo. Victor Serge, per quanto corresponsabile, non merita una fine simile. Se invece siamo alla ricerca dei motivi originari del comunismo – inteso come movimento rivoluzionario per come effettivamente ha preso forma e si è organizzato, attorno a quali idee e a quali battaglie ideologiche – le Memorie di Serge possiedono ancora un valore tutt’altro che superato. Ma che va disincrostato, per così dire.

C’è stato un tempo in cui il comunismo viveva la sua infanzia e la sua prima adolescenza. In cui il marxismo era solo una delle sue numerose correnti, e in cui le lotte di classe procedevano scoprendo e inventandosi una propria autocoscienza. Il comunismo dei liberi produttori, del movimento anarchico, delle cospirazioni eroiche e inconcludenti, degli idealismi sinceri e astratti, del mutualismo sociale incapace di darsi rappresentanza, dell’incontro cercato e costantemente mancato con la realtà dei rapporti di forza. E’ il tempo che Serge attraversa da anarchico, giovane intellettuale del movimento libertario che affondava la sue radici nella carne viva del popolo, dei reietti, dei ladri, dei cospiratori e dei terroristi. Negli stessi anni, l’incontro tra movimento operaio e filosofia marxista dava vita alla socialdemocrazia tedesca, alle grandi organizzazioni popolari del socialismo gaudente e prospero in linea coi tempi e con la storia. Tutta la prima parte del libro di Serge riflette, tramite idee e parole che colano oro, questa «evasione impossibile»: dalle ingenuità anarchiche, pregne di romanticismo e di inconcludenza (ma quale onore viene concesso, e giustamente! a questi eroi del popolo che pagarono sulla propria pelle – tutti – il bisogno insopprimibile di liberazione); ed evasione da quel «tempo omogeneo e vuoto» del socialismo europeo della Seconda internazionale, dei partiti socialisti tronfi del potere amministrato, dell’inevitabile vittoria finale, elezione dopo elezione, in linea – come detto – con la razionalità della storia che non avrebbe fatto altro che cedere lo scettro del potere a un proletariato ricco e soddisfatto dei propri dirigenti. La chiave di volta è in Lenin e nel bolscevismo. Il partito bolscevico realizza l’incontro tra cospirazione e marxismo. Serge se ne accorge, fiuta istintivamente la rozzezza posta alla base del bolscevismo stesso, ma ne coglie la verità disarmante e rivoluzionaria. Leggiamo uno dei tanti passaggi che vengono dedicati alla sua conversione:

«Sarei stato con i bolscevichi perché davano compimento con tenacia, senza scoraggiamenti, con ardore magnifico, con passione riflessa, alla necessità stessa; perché erano soli a darvi compimento, prendendo su di sé tutte le responsabilità e tutte le iniziative e dando prova di una stupefacente forza d’animo. Essi erravano certo su parecchi punti essenziali: con la loro intolleranza, con la loro fede nella statizzazione, con la loro tendenza alla centralizzazione e alle misure amministrative. Ma, se bisognava combatterli con libertà di spirito e in spirito di libertà, era con loro, tra loro».

Al tempo in cui Serge pensa questo, egli è ancora anarchico e a digiuno di marxismo. L’esperienza del socialismo europeo, del movimento libertario francese e spagnolo, ma anche delle tragedie della Prima guerra mondiale, gli fanno intuire però l’essenziale del comunismo russo appena giunto al potere: il futuro risiede nelle vicende del partito bolscevico, non altrove, un altrove che attende di essere spazzato via dall’insubordinazione della storia. Ogni parola di questo breve passo meriterebbe un commento. Serge si accorge – come non farlo? – dei limiti intrinseci del bolscevismo. In altro luogo, nel libro, l’autore dirà: «Il pensiero bolscevico parte dal presupposto di possedere la verità […] Questa è la fonte spirituale della sua intolleranza. La convinzione assoluta della sua alta missione gli assicura un’energia morale assolutamente sorprendente – e al tempo stesso una mentalità clericale pronta a diventare inquisitoriale». Eppure – eppure – questa evidenza (quale forza politica rivoluzionaria non è certa di «possedere la verità»?) non scalfigge il cuore del ragionamento: il bolscevismo dà voce a una necessità. Di più: la organizza e la porta al potere. La liberazione dalla miseria e dalla subalternità di milioni di uomini e donne, perennemente sconfitti dalla storia proprio quando questa dimostra, attraverso l’apogeo della scienza e della tecnica, di poter liberare il genere umano dai bisogni primari, vale ben più di qualche evidente rozzezza intellettuale, qualche buco ideologico, per non dire della sua intolleranza intrinseca. Il partito bolscevico si carica della responsabilità di portare a compimento la storia, e nel farlo organizza la sua autodifesa, pone le basi per disattivare l’inevitabile Termidoro che, la dirigenza bolscevica lo sa bene, prima o poi torcerà la rivoluzione. Quali le alternative reali? Serge ne dà un rapido saggio:

«Scoprii una nuova forma di incoscienza, l’incoscienza marxista. Un capo di partito tedesco, Paul Levi, sportivo e pieno di sicurezza, mi diceva semplicemente che “per un marxista le contraddizioni interne della rivoluzione russa non avevano nulla di sorprendente”, e certo era vero, ma di quella verità generica di cui egli si serviva come di uno schermo per nascondere la visione della realtà immediata, che ha, malgrado tutto, la sua importanza. La maggior parte dei marxisti di sinistra, bolscevizzati, adottavano quell’atteggiamento di sufficienza. Le parole “dittatura del proletariato” spiegavano tutto, magicamente, senza che venisse loro l’idea di domandarsi dov’era, che pensava, che sentiva, che faceva il proletariato dittatore. I socialdemocratici, al contrario, erano pieni di spirito critico e di incomprensione. Nei migliori – penso ai tedeschi, Daeumig, Crispien, Dittmann – un umanismo socialista pacificamente imborghesito soffriva della durezza del clima della rivoluzione fino al punto di impedire ogni rigore di pensiero. I delegati anarchici, con cui discutevo molto, avevano un sano orrore delle “verità ufficiali”, delle pompe del potere e un interesse appassionato per la vita reale; ma, portatori di una dottrina soprattutto affettiva, ignoranti di economia politica e non essendosi mai posti il problema del potere, era loro pressoché impossibile giungere alla comprensione teorica di ciò che accadeva. Erano dei magnifici bravi ragazzi rimasti insomma sulle posizioni romantiche della “rivoluzione universale”, come gli altri libertari potevano rappresentarsela tra il 1848 e il 1860, prima della formazione della grande industria moderna e del proletariato».

Questo passaggio apparentemente liquidatorio del bolscevismo è in realtà chiaro nel presentare le alternative reali in campo: da una parte un comunismo al potere che edifica l’impalcatura politica, ideologica, militare, repressiva, senza la quale sarebbe stato spazzato via in pochi mesi dalla reazione interna ed europea; dall’altra una complessiva impotenza tanto del socialismo imborghesito quanto del resto dei movimenti rivoluzionari. Victor Serge sarà vittima della stretta repressiva dello Stato sovietico. Tutta la seconda parte del libro è dedicata, come noto, alle tristi vicende inerenti la sua prigionia, il confino, e successivamente l’espatrio prima in Francia, poi in Messico. Il socialismo sovietico rimane vittima del proprio complottismo (complotti che però esistono, e Serge se ne dimentica); è vittima della propria stretta repressiva, non sapremo mai quanto inevitabile. Trockij, nel secondo Novecento transitato a simbolo di equivoci esperimenti “consiliari” o tendenze addirittura “libertarie”, fu il primo organizzatore della macchina repressiva sovietica, che scaglio autoritariamente contro chiunque si frapponesse alla rivoluzione e alle sue esigenze. Nonostante ciò, si struttura, cresce, si sviluppa, resiste all’aggressione nazista, vince la guerra. Tenta, negli anni Venti, di esportare la rivoluzione nell’Europa orientale, e soprattutto in Germania, senza riuscirvi.  Quanto vale questo «nonostante»? Quale il prezzo umano? Oggi abbiamo gli strumenti per garantirci il privilegio della valutazione, del discernimento. Sappiamo che “non avremmo fatto così”, e siamo senza dubbio convinti della brutalità poliziesca, molte volte immotivata, di cui fu vittima parte della popolazione sovietica, parte del bolscevismo stesso. Non serve a niente negarlo. L’importante è essere consapevoli di questo “privilegio”, d’altronde concesso non da letture e conoscenza degli eventi, ma dall’essere sostanzialmente fuori dalla storia, fuori da quella storia. Nel tempo in cui non si giocano partite storiche dirimenti, di vita e di morte, possiamo anche noi affinare le armi della valutazione politica complessiva. Nel tempo della storia grande e tragica questo privilegio non è concesso, e non fu concesso a quella generazione rivoluzionaria che inflisse la morte per non morire essa stessa. Nell’inevitabile valutazione degli errori e degli orrori di quella storia – che devono essere presenti soprattutto in chi s’incarica di difenderla – va sempre tenuto in considerazione ciò che, alla fine della sua testimonianza, riconosce lo stesso Victor Serge:

«L’intelligencija russa mi aveva di buon’ora insegnato che il senso stesso della vita consiste nella partecipazione cosciente al compimento della storia. Più ci penso e più questo mi pare profondamente vero. Questo vuol dire pronunciarsi attivamente contro tutto ciò che sminuisce gli uomini e partecipare a tutte le lotte che tendono a liberarli e a farli più grandi. Che questa partecipazione sia inevitabilmente intaccata da errori non ne diminuisce l’imperativo categorico; peggiore è l’errore di vivere soltanto per sé, secondo tradizioni tutte intaccate di inumanità. […] “Quel che c’è di terribile quando si cerca la verità” diceva un saggista francese, “è che la si trova…”. La si trova, e non si è più liberi di seguire l’inclinazione dei propri vicini né di accettare i luoghi comuni correnti».

«Partecipazione cosciente al compimento della storia»: basterebbe questo passaggio a dileguare qualsiasi lettura post-moderna e liquidatrice, a sostenere gli errori di questa storia anche quando si presentano come orrori, se l’obiettivo è la tensione verso la liberazione degli uomini, a «farli più grandi». Victor Serge fu, al termine della sua vita, profondamente anti-sovietico. Eppure costringerlo esclusivamente in questo significherebbe adeguare forzatamente la sua visione all’attuale incoscienza politica, frutto di una sconfitta storica di cui ancora non si vedono nettamente i contorni.