Divide et impera

Divide et impera

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Il 20 febbraio il governo italiano ha approvato il famoso decreto legge antistupri che legalizza le ronde. Questo provvedimento, che arriva dopo soli 15 giorni dal varo del pacchetto sicurezza (leggi), rappresenta un ulteriore giro di vite securitario e razzista che trova legittimità nel clima emergenziale artificialmente costruito dai mass media. Qualche giorno fa, in un’interessante relazione sui rapporti USA-Cuba, il ricercatore Salim Lamrani sottolineava come in occidente il ruolo dei  media mainstream non sia, appunto, quello di informare i cittadini, ma quello di difendere l’ordine sociale costituito, lo stato di cose presenti (leggi). Contribuendo quindi in maniera fondamentale, attraverso la selezione delle notizie e alla modalità con cui vengono riportate, all’esercizio dell’egemonia culturale e politica delle classi dominanti. Quanto accaduto in queste settimane con la cosiddetta “emergenza stupri” e con “l’allarme rumeni” è un esempio da manuale dell’utilizzo di quelle che qualcuno ha definito sagacemente armi di distrazione di massa. Ma andiamo con ordine. Non esiste nessuna emergenza stupri. Purtroppo le statistiche parlano di un fenomeno cronico (il 5,4% delle donne italiane ha subito una violenza) che interessa trasversalmente tutta la società italiana (leggi), senza distinzioni di nazionalità e di censo. Sempre i dati, che in questo caso fotografano solo la punta dell’iceberg (il 90% delle donne preferisce non denunciare gli abusi subiti), descrivono un Paese in cui la grande maggioranza delle violenze viene compiuta in casa (69,7%), da mariti, partner e fidanzati, e comunque da persone conosciute (94%). Solo una piccola parte di esse è opera di sconosciuti (6%), e la metà di questi sono immigrati (3%). Un dato che, se da un lato dovrebbe far aprire una riflessione collettiva sui rapporti uomo-donna in una società ancora fortemente intrisa di maschilismo, dall’altro dovrebbe far comprendere come ogni provvedimento emergenziale non possa che risolversi con un buco nell’acqua. In un paese serio la questione andrebbe dunque affrontata in termini di prevenzione ed educazione, ma ci rendiamo conto che in tal caso si richiederebbe uno sforzo di programmazione e lungimiranza ad una classe politica composta da sciacalli e banditi. Nonostante non esista quindi alcuna “emergenza” stupri i media italiani hanno però alimentato, quando non direttamente costruito, una rappresentazione della realtà distorta secondo cui da qualche mese le donne (italiane) sarebbero preda degli stupratori (soprattutto rumeni). Guardate ad esempio i dati che abbiamo estrapolato analizzando il Corriere della sera nel periodo che va dal primo gennaio al 20 febbraio (approvazione decreto). Secondo l’ultima analisi statistica utile (Istat 2006) in Italia avvengono mediamente 74000 stupri o tentativi di stupri all’anno, 202 al giorno. Un numero enorme che, però, quasi mai fa notizia. Nel periodo considerato (51 giorni), sempre attenendoci ai dati Istat, ci sarebbero dunque stati 10300 violenze o tentate violenze contro delle donne. Di queste 300 compiute da immigrati sconosciuti e 10000 compiute conoscenti della vittima, per la quasi totalità uomini italiani. Nella rappresentazione mediatica fatta dal Corriere della Sera le statistiche si ribaltano. Il corriere riporta, complessivamente la notizia di 19 stupri. Di questi 12 (il 63%) compiuti da immigrati, 5 (il 26%) da italiani e 2 da sconosciuti di cui non viene indicata la nazionalità. Anche la lunghezza e la collocazione dell’articolo cambiano a seconda della nazionalità del violentatore. Su 17279 parole dedicate complessivamente all’argomento nei vari articoli ben 13848 (80,14%) sono state spese per raccontare violenze commesse da migranti e solo 3177 (18,4%) per raccontare le violenze commesse dagli italiani. I dati diventano ancora più odiosi se la vittima è una donna migrante. Delle 19 vittime di cui ha parlato il Corriere,  6 erano immigrate (il 31,6%), ma ad esse sono state dedicate solo 2038 parole (l’11%), con articoli che non sono arrivati mai nelle prime pagine. Come a dire, se sei una donna straniera il tuo stupro ci interessa di meno, anzi non ci serve. Gia, perché la domanda che ogni persona dotata di spirito critico dovrebbe porsi è cui prodest? A chi giova tutto questo? La risposta, come la famosa lettera rubata di E. A. Poe, è sotto gli occhi di tutti. Nonostante la recessione economica abbia investito in pieno l’Italia, nonostante le migliaia di licenziamenti, nonostante le condizioni di vita si siano fatte sempre più insostenibili, il belpaese è anestetizzato. Non accade nulla o quasi, nessuno si ribella contro i padroni che licenziano o le banche che taglieggiano, ma in molti sono poi pronti a prendersela con il capro espiatorio per eccellenza: i migranti. Come scrivevamo qualche giorno fa in un post, il conflitto diviene orizzontale, tra segmenti differenti della stessa classe sociale (quella dei lavoratori), e non impensierisce più di tanto chi, nonostante la crisi, continua ad accaparrarsi ingenti profitti. E’ il principio tanto vecchio quanto efficace del divide et impera. Sospingendo, attraverso un complesso apparato legislativo, settori sempre più ampi di migranti nell’impossibilità di vivere “legalmente” il padronato li costringe, di fatto, ad abbassare il prezzo a cui vendono la propria forza lavoro ottenendo, al contempo, la contrazione diretta del costo del lavoro in settori importanti dell’economia (ad esempio l’edilizia) e la costituzione di una formidabile arma di ricatto da adoperare contro i lavoratori italiani per costringerli ad accettare salari più bassi e minori diritti. La campagna stampa contro la comunità rumena è, in questo, qualcosa che tocca vette di ipocrisia senza precedenti. Il capitale italiano è il primo investitore estero in Romania con oltre 800 milioni di euro di investimenti diretti nel 2008 e circa 25.000 imprese italiane registrate a Bucarest, una presenza talmente importante da giustificare perfino la nascita di una Camera di Commercio Italiana per la Romania. Ad allettare le piccole e medie imprese italiane sono soprattutto i salari bassi (un operaio specializzato guadagna mediamente 500 euro al mese, contributi compresi) e una classe operaia qualificata che permette di produrre abbattendo i costi. Nel solo 2008 l’interscambio tra Italia e Romania è stato di 11.3 miliardi di euro con un attivo sulla nostra bilancia dei pagamenti di 1 miliardo e 400 milioni di euro. Insomma, i lavoratori rumeni producono ricchezza per i padroni italiani tanto in Italia che in Romania, eppure vengono descritti come dei barbari che ci rubano donne e lavoro. Non c’è da stupirsi, poi, che organizzazioni neofasciste provino a farsi interpreti di questo senso comune razzista estremizzandolo e trasformando le ronde in squadracce. Occorre reagire. Ora, adesso, subito.