I numeri (reali) del neofascismo a Roma e Bologna

 

Se, per l’ennesima volta, torniamo sul baratro che separa la percezione mediatica dalla realtà materiale riguardo al neofascismo, non è per l’ultima trovata elettorale di Casapound: organizzare una marcia per la sicurezza delle donne che picchia alcune donne presenti in piazza Vittorio. Vorremmo invece ragionare sui numeri e sulla composizione della manifestazione di Casapound, perché aiuta molto nel decifrare il problema dello sdoganamento mediatico del neofascismo. Siamo in campagna elettorale, elezioni a cui, almeno a leggere farneticanti proclami futuristi, Casapound punta molto dopo il presunto exploit di Ostia (in realtà a Ostia le elezioni, per Cpi, si sono risolte in un mezzo fallimento – solo un consigliere eletto nel deserto politico e della partecipazione al voto – e a livello nazionale viene accreditata dello 0,6% dei voti). Bene, nel vortice della campagna elettorale, sulla scia della questione sicurezza agitata da destra a sinistra, e in seguito al presunto stupro di una senza tetto ad opera di un migrante, Casapound convoca una manifestazione pubblica.

La pubblicizza in ogni luogo mediatico, sui social network, nonché attacchinando manifesti per piazza Vittorio. Alla manifestazione partecipano trenta persone. Non solo. Le trenta persone sono le solite trenta facce che Casapound mobilita da quindici anni a questa parte, la famiglia a cui Cpi ha trovato nel tempo casa e lavoro.

Insomma, una manifestazione del genere il gruppetto neofascista l’avrebbe potuta organizzare identica nel 2003 o nel 2013: stessi numeri, stessa gente, stessi proclami. Il motivo è che Casapound, e più in generale il neofascismo, in questi anni non ha aggregato nulla: né militanti né simpatizzanti né voti. Una scena che è stata replicata ieri a Bologna. Una città mobilitata (giustamente) contro il comizio di Roberto Fiore, padrone di Forza Nuova.

Al comizio erano presenti dieci (10) fascisti. Questo il livello di mobilitazione di Forza Nuova in presenza del suo fondatore e segretario. Numeri che conosciamo bene qui a Roma.

Nonostante la città sia, come abbiamo ripetuto negli anni, un laboratorio dell’estrema destra nazionale, e nonostante in alcuni pezzi di società il discorso vagamente razzista e confusamente fascista abbia una certa presa, la militanza vera e propria, la partecipazione attiva, ma anche solo il sostegno elettorale, si riducono a poche decine di unità. Una decina scarsa per Forza Nuova; qualche centinaio per Casapound. Di cosa stiamo parlando allora? Del niente, più o meno.

[Manifestazione di Forza Nuova a Roma, luglio 2016]

 

Eppure a questo niente è stata data, negli ultimi anni, una spropositata risonanza mediatica. Il neofascismo continua ad occupare ogni canale informativo, sia esso cartaceo, online o televisivo, molto al di là del suo reale peso sociale o della sua concreta capacità di raccogliere elettoralmente una parte del malcontento sociale generato dalla crisi. E’ questo il significato politico che soggiace alla legittimazione neofascista. Perché il problema è proprio la sua irrilevanza. Se il neofascismo avesse percentuali elettorali importanti, o anche una presenza sociale significativa, sarebbe giusto occuparsene. Ma qui siamo in presenza di un sovradimensionamento che nasconde – anche questo lo andiamo ripetendo allo sfinimento – una precisa volontà politica. Tremila antifascisti mobilitati a Bologna non fanno notizia, se non per gli scontri. Dieci neofascisti raduanti attorno al loro padrone vengono contesi da giornali e tv. Anche oggi assisteremo all’ennesima marchetta televisiva. Per una setta di trenta camerati che ne mobilita, quando va bene, altrettanti. Il problema, allora, non sta nel “fare le domande giuste” al fascista di turno, nel “metterlo alle strette” facendo il proprio lavoro da giornalista. Il problema sta a monte, nell’intervista in sé, nell’invito in trasmissione, nella narrazione che auto-avvera la profezia – tutta mediatica – del “pericolo neofascista” sul piano dei rapporti politici generali. A forza di ripeterlo finiremo per crederci.