Sperimentazioni popolari

Sperimentazioni popolari

 

La continua e ansiosa ricerca di modelli originali per ricostruire legami sociali nei territori della periferia procede per sperimentazione. A lungo andare è probabilmente un limite, ma oggi è l’unica alternativa al già visto e al già fallito. E’ attraverso questo estremo pragmatismo che si è arrivati all’iniziativa di sabato, la riapertura – parziale e purtroppo temporanea – di uno dei mille cantieri che in questi dieci anni hanno devastato una delle principali direttrici cittadine tra centro e periferia, via Tiburtina. Se l’organizzazione dei lavoratori dipendenti rimane il nostro problema principale, il completo sfaldamento delle relazioni produttive ci costringe ad aggirare una difficoltà che appare sempre più come strutturale per la sinistra: intervenire nelle contraddizioni tra capitale e lavoro laddove queste non assumono la forma immediata delle relazioni tra lavoratori salariati e padronato. Niente di nuovo evidentemente: da almeno quarant’anni la sinistra, soprattutto quella distante dalle organizzazioni storiche, ha sempre tentato strade alternative al rapporto sindacato-partito nei luoghi di produzione. Eppure non tutte le vertenze sono uguali. Il famigerato «territorio» è stato il concetto attraverso cui si è sfumata fino a perdersi l’idea stessa di lotta di classe. Un lasciapassare ideologico che ha trasformato ogni vertenza civica in parodia di conflitto, e ogni civismo cittadinista in «internità sociale». Dire territorio e internità significa, perciò, dire tutto e niente. Ci sono scale di priorità che vanno ricostruite, così come legami tra il particolare e la propria proiezione generale oggi completamente disattivati e che andrebbero ripensati.

Il lavoro portato avanti dalla Carovana delle Periferie in particolare sulla Tiburtina prova a ripensare l’idea di lavoro sociale partendo da due assunti: il primo, non tutto ciò che si muove sul territorio è una «vertenza», e non tutte le vertenze sono utili; secondo, oggi più che mai ogni iniziativa particolare e territoriale deve essere immediatamente collegata a una idea della società e attivarla nel suo piccolo. La politica, detto altrimenti, interviene immediatamente a partire dalla più microscopica vicenda sociale. Ma il “sociale” ha un suo interesse quando espressione del generale, non in astratto. L’incrocio tra via Tiburtina e via di Casale di San Basilio è un luogo strategico per migliaia di proletari, e la sua “liberazione” risolve direttamente e, al tempo stesso, smaschera, un problema importante per la vita di quei proletari.

Non c’è (ancora) nessuna soluzione all’orizzonte. L’importante è però cogliere il fallimento fino a qui perpetrato. Lavoro sociale e ideologia vanno di pari passo, soprattutto oggi. Ma, per farlo, occorrono prudenza e scaltrezza, per non rovinare gli esili e faticosissimi fili che si stanno riallacciando tra sinistra e i propri necessari referenti sociali. E’ questa la sperimentazione in corso, unire ciò che in questi anni è stato scientificamente diviso: lavoro politico e intervento sociale. Siamo ancora a livello di suggestioni, che ci auguriamo vengano raccolte, alterate e moltiplicate. Ma la risposta di San Basilio, uno dei quartieri simbolo della periferia romana, permette anche una verifica: il buon esempio e la giusta intuizione contribuiscono a risolvere il nostro dilemma.