speranza di vita e lavoro “senile”, il circolo vizioso dei padroni.

speranza di vita e lavoro “senile”, il circolo vizioso dei padroni.

A settant’anni uno spererebbe di godersi il giusto riposo, chessò, spendendo il proprio tempo per portare i nipotini al parco, oppure per passare le mattinate a guardare come procedono i lavori nei cantieri pubblici, o magari a giocare a carte al bar e a stracannare e stramaledire le donne, il tempo ed il governo.… e invece no. A giudicare dall’aria che tira, e se non cominciamo ad incazzarci per davvero e subito, ci sa tanto che dovremo lavorare anche da vecchi. Cosi oltre alla piaga del lavoro minorile potremo iniziare a parlare anche del lavoro “senile” e sul libretto di lavoro scriveranno: fine pena mai. Eh già, perchè adesso, come se non bastassero i continui ritocchi al rialzo all’età pensionabile e le continue (contro)riforme del sistema previdenziale portate avanti in maniera bipartisan dal sinistra-centro-destra, a rompere i coglioni ci si è messo pure il Sole 24 ore  col suo “Manifesto per la crescita”. Il quotidiano dei padroni ha infatti buttato lì la proposta di un innalzamento immediato dell’età pensionabile a 70 anni (leggi) e visto che stiamo parlando dell’house organ della Confindustria, non stentiamo a credere che tempo qualche mese (e qualche saliscendi in borsa) e quella che adesso sembra essere una semplice boutade estiva si trasformerà in qualcosa di maledettamente concreto. Ovviamente sempre in nome del sacro totem del risanamento dei conti pubblici. Ossia di quell’autentico spauracchio che negli ultimi decenni ha permesso di smantellare e privatizzare praticamente l’intero Welfare State italiano. E’ però interessante sottolineare, a tal proposito, come l’architrave di ognuno di questi ragionamenti sia sempre l’aumento della “speranza di vita”. Si vive di più e quindi si deve lavorare di più. Ora, a parte il fatto che verrebbe da chiedere “e perchè mai?“, quello che più sconcerta è che nella vulgata liberista questo dato viene trattato quasi come se fosse il portato di un processo evolutivo inarrestabile, mentre in realtà non è affatto così. Chiunque coltivi un po’ di senso critico sa bene che “l’aspettativa di vita” di un Paese (come di una popolazione o di una classe) è un indicatore sociale più che un dato demografico. Un valore statistico che ha poco a che vedere con il patrimonio genetico degli individui (pressochè identico per l’intera umanità) ma che invece  è intimamente legato alle “condizioni ambientali” in cui una vita si sviluppa (tutela del lavoro, istruzione, qualità della vita, salubrità dell’ambiente, presenza di un sistema sanitario efficente, ramificato ed accessibile….). Ragion per cui se uno nasce in  Svezia può sperare di campare fino a 80,6 anni, mentre se nasce nello Swaziland è molto probabile che non superi i 32 anni di vita.  Ovviamente sempre che non si tratti di un esponente della famiglia reale Swazi, perchè allora la speranza di vita si innalzerebbe vertiginosamente fino a valori europei. Ed è proprio questo il punto. Chiunque aggiungesse a quel “senso critico” di cui sopra anche un pizzico di marxismo saprebbe bene che le “condizioni ambientali” che così tanto influenzano l’eta media di una popolazione sono il frutto della lotta fra le classi, un equilibrio dinamico che registra il rapporto di forza tra lavoro salariato e capitale. I padroni non si sono “civilizzati” da soli, ma glielo hanno imposto, col ferro e col fuoco, le lotte dei lavoratori. Per dirla con Fanon: il capitalismo cede solo con il coltello puntato alla gola. Ed allora, se questo è vero, è vero anche che non esistono “condizioni ambientali” date una volta per sempre e ciò che ti sei conquistato ti può essere tolto. La storia più recente, anche quella di altri Paesi, ci insegna proprio questo. Con l’implosione del blocco sovietico al posto della magnifiche sorti e progressive auspicate dall’avvento del mercato le popolazioni russe hanno visto diminuire sensibilmente le loro speranze di vita riportando indietro le lancette della storia di 40 anni e non è affatto improbabile che una tendenza del genere, anche se meno marcata e repentina, finisca col manifestarsi anche nei paesi a capitalismo maturo. Col rischio che fra qualche decennio all’età della pensione non riusciremo nemmeno ad arrivarci…