Ripartire dopo lo sciopero

Ripartire dopo lo sciopero

 

La giornata di mobilitazione promossa dalla CGIL ha riscontrato un notevole successo, inutile negarlo; un successo al quale si deve guardare con un certo favore, non tanto per lo scacco al PD che la Camusso ha abilmente costruito con una mossa a sorpresa (la convocazione dello sciopero ad inizio settembre, l’incuranza del tentativo di dialogo del PD per un “bene nazionale” super partes e lo schiaffo d’anticipo alla Fiom), quanto per il generale segnale di inquietudine e rabbia che le piazze italiane hanno lanciato nelle varie manifestazioni di ieri, alcune delle quali – come a Napoli – sono state caricate dalle forze dell’ordine. Uno smacco, dicevamo, quello della CGIL, che in molto stentano a digerire e che, alla fine, prova a far dimenticare la firma sullo scempio del 28 giugno scorso; uno sciopero, e non uno “sciopericchio” come il 6 maggio 2011, che prova ad inaugurare il nuovo autunno politico proprio mentre i vertici nazionali discutono, riscrivono e poi ri-emendano la manovra che ci ha commissionato la BCE.

Se dovessimo guardare a quanto sta facendo, ha fatto o può fare la CGIL non smetteremmo di indignarci, e allora proviamo a capire quali possono essere i primi, piccoli risultati che la giornata di ieri ha segnato e che possono fungere da volano per le prossime mobilitazioni autunnali.

In primis, crediamo che lo sciopero di ieri possa avere un seguito se si impedisce che, nel braccio di ferro tra Camusso e PD, la frustrazione e l’indignazione dei lavoratori sia meramente funzionale ai giochetti di una CGIL che tenta di smarcarsi dopo un’estate politica di figuracce (il 6 maggio e il patto del 28 giugno, appunto), ergendosi ora a cardine dell’opposizione sociale. Il rischio concreto è che possa prevalere ancora una volta la logica del “superiore interesse nazionale” e l’accettazione, come contropartita politica della defenestrazione di Silvio B., di un esecutivo tecnico ostaggio della BCE e della sindrome da taglio-alla-spesa-pubblica. In un caso simile, le lotte dei lavoratori e del precariato in generale sarebbero una riedizione annuale della protesta che va fatta, e quindi totalmente ininfluente.

Seconda considerazione, strettamente legata alla prima, è il fatto che si deve avere la consapevolezza che ci si prepara ad un nuovo autunno di difesa dei diritti dei lavoratori, senza con questo voler favorire il sostegno ad una categoria piuttosto che un’altra o cadere nella fratricida contrapposizione di lavoro dipendente e non, autonomo vs subordinato, cognitivo e non… e questo perché le lotte dello scorso autunno ci hanno insegnato che la destrutturazione del sistema lavoro e delle sue garanzie formali e sostanziali è un problema che riguarda non solo chi, materialmente, ne è diretto bersaglio, ma oggi rappresenta una frontiera culturale oltre la quale le linee nemiche non devono muoversi. La nuova difesa del CCN che la Fiom sta calendarizzando, non può oggi essere letta come una riedizione dell’autunno 2010; l’opposizione ai piani-Marchionne, dicevamo in un post di alcuni giorni fa raccontando un’assemblea nello stabilimento Fiat di Cassino, è un’ opposizione culturale ad un modello di sviluppo malato che rischia di degenerare in un sistema di mercato che sta implodendo; è, dunque, l’opposizione al modello culturale dei vari Marchionne e Marcegaglia che deve oggi unire il fronte delle lotte delle atipicità lavorative e dei dipendenti contrattualizzati ma ugualmente sfruttati.

Il Senato, a piazza Navona, continua discutere oggi della manovra, e stasera dovrebbe esserci l’approvazione del maxiemendamento con il voto di Palazzo Madama; staremo a vedere nelle prossime ore. Lì sotto la mobilitazione di piazza prosegue, anche se – a onor del vero – stenta ancora a decollare. Che sia un segnale di ripresa questa due giorni che ancora sa di estate, con l’auspicio di respirare la stessa brezza estiva anche in autunno.