Riflessioni di un viaggiatore
Nel corso del quindicennio appena trascorso, è avvenuta nel nostro paese una contro-rivoluzione silenziosa. Come ogni opera sovversiva che si rispetti è avvenuta sotto traccia, senza che nessuno se ne accorgesse, ed anzi ammantata da luminosi miraggi di modernità rivelati: stiamo parlando dell’ondata di privatizzazioni e di liberalizzazioni partite all’inizio degli anni novanta e ancora in corso d’opera. Ora, noi diciamo che nessuno se n’è accorto, ma sarebbe più giusto dire che non solo la stragrande maggioranza del paese non se ne è accorta, ma piuttosto ha salutato l’avvenimento con quella effervescenza da traguardo finalmente conquistato che ci portava alla buon’ora nel novero dei paesi civili.
Ma perché noi oggi affrontiamo questo problema? Anzitutto, per fare opera meritoria di memoria storica, e ricordarci ogni tanto che, quando arriverà il momento di rivotare il parlamento unico che attualmente ci governa, sapremo bene chi ha fatto cosa, e che ad esempio le privatizzazioni sono state addirittura ideate dai vari centrosinistri che purtroppo ci è toccato sorbirci al governo. Secondo poi, perché è un po’ che ci frulla per la testa un discorso sulla reazione economica del mercato al sistema pubblico di servizi che ci caratterizzava e che ormai è un pallido ricordo. E infine, perché chi scrive è appena tornato da un viaggio all’estero, per giunta in macchina, e siccome ha ancora impressa la distanza siderale che ci differenzia dal primo mondo, è bene sfruttare la poca memoria che gli rimane e buttare subito giù qualche impressione.
Entriamo subito nel merito: dal ’91 in avanti, sono state privatizzate alcune della più importanti industrie strategiche del paese, patrimonio collettivo che da un mese all’altro divennero società per azioni in mano al mercato. Tali aziende rappresentavano un patrimonio sociale non per una qualche efficienza gestionale, ma perché governavano dei servizi pubblici essenziali per la popolazione. Inutile stare qui a citarle tutte: ogni ambito dei servizi pubblici nazionali è stato affidato al mercato: dai trasporti, in ogni loro forma (autostrade, ferrovie, aeroporti, ecc…), all’energia elettrica, alla gestione dei servizi comunali e municipali, alla salute; e poi ancora, il sistema bancario, le raffinerie petrolifere, tutto l’ambito delle comunicazioni, per poi finire in questi ultimi anni al problema della gestione dell’acqua pubblica. Insomma, tutto il sistema che strutturava i servizi necessari alla cittadinanza è stato svenduto al privato. Le motivazioni, anzi, la motivazione cardine su cui si poggiava tutta la politica privatizzatrice era una sola: privato è meglio. Subentrando al monopolio statale, il mercato avrebbe generato un processo virtuoso che avrebbe rimosso darwinamente i servizi inefficienti e salvaguardato quelli invece dinamici. Le leggi della domanda e dell’offerta private avrebbero anche agito sulle tariffe, spingendo tutto il sistema verso una dinamica di abbassamento dei prezzi, per cui veniva premiata dal cittadino-consumatore l’impresa che avrebbe praticato il giusto mix tra efficienza gestionale e prezzi bassi. Oltretutto, meraviglia delle meraviglie, avrebbe esentato lo Stato dalla gestione di imprese perennemente in debito, baracconi elefantiaci ingovernabili e regno della corruzione pubblica. Insomma, il paradiso era a portata di mano, e a coglierlo è stato lesto il primo centrosinistra, avviando la mega privatizzazione dell’ENI, una delle operazioni economiche e finanziarie più grandi della storia dell’economia mondiale.
Ma torniamo a noi e agli effetti miracolosi della longa manus mercatista. Prendiamo come esempio la privatizzazione del sistema dei trasporti. Fino a pochi anni fa, spostarsi nel territorio italiano era una delle poche cose veramente economiche e popolari che ci rimanevano. Il sistema ferroviario, seppur non paragonabile per efficienza a quello nordeuropeo, era assolutamente economico e accessibile a tutti. Le autostrade, sebbene non curatissime, erano economiche anch’esse. La compagnia di bandiera Alitalia era una delle prima compagnie aeree del mondo per qualità, efficienza e prezzi (nonché per ricavi che garantiva allo stato, almeno fino agli anni ottanta). Bene, non tutto era perfetto, ma tutto il sistema si reggeva sul discorso dell’accessibilità. A tutti era consentito lo spostamento nel territorio col mezzo che preferiva, e benché non perfetto si favoriva la sostanza dello spostamento alla qualità dello stesso. Vediamo invece cosa hanno prodotto questi anni di privatizzazione.
Le autostrade privatizzate costano mediamente il doppio di quelle del nord – Europa, mentre il servizio erogato è rimasto sostanzialmente identico a quello di venti anni fa. Le strade fanno schifo, i lavori perennemente in corso, la segnaletica ridicola, ma in compenso le tariffe sono aumentate a dismisura, sempre giustificate da qualche invisibile miglioria o da qualche crisi internazionale che obbligava ad un rialzo dei prezzi. (Per fare un esempio provato di recente, appunto: la tratta Parigi-Lione-trafori, di circa 700km, costa circa 45 euro; la tratta trafori-Torino-Genova-Livorno, di circa 500km, costa egualmente sui 45 euro! La differenza di una autostrada perfetta come quella francese rispetto alla sequenza infernale di deviazioni e buche di quella italiana non ha fatto provare neanche un po’ di vergogna alla sempre poco ingiuriata famiglia Benetton, proprietaria di Autostrade s.p.a.!! Oltretutto, lo stipendio medio francese è quasi il doppio di quello italiano!!! )
Il servizio aereo nazionale esiste solo sulla carta, ma di fatto privatizzato; la qualità è rimasta quella degli anni ottanta, sugli aeroporti meglio stendere un velo pietoso, ma in compenso i biglietti aerei si sono adeguati a quelli delle compagnie più grandi.
Ma veniamo ora al caso emblematico di questi anni:la privatizzazione delle Ferrovie dello Stato. Con tale privatizzazione, quello che una volta era gestito pubblicamente e complessivamente dall’azienda, oggi è spacchettato in due situazioni differenti. Da un lato, le tratte regionali di breve percorrenza, sui cui si sposta il 90% del trasporto pubblico su rotaia. Sono, appunto, le linee dei pendolari, che ogni giorni portano milioni di persone dalla periferia al centro urbano per motivi di lavoro o di studio. Questa situazione è gestita dalla privatizzata (ma in mano pubblica) Trenitalia, che nel corso di questi anni ha lasciato la situazione ferrovie pressoché invariata, alzando leggermente i prezzi e producendo continuamente in perdita (oltretutto accollandosi il problema della gestione e manutenzione della rete ferroviaria). Dall’altro lato sono nate le tratte del lusso di media e lunga percorrenza, gestite ormai quasi esclusivamente dalle varie linee Frecciarossa e Frecciargento. Aziende formalmente nell’ambito di Trenitalia ma in via di separazione, che di fatto hanno sostituito tutta la serie di treni che garantivano gli spostamenti lunghi in maniera economica, come gli Intercity, gli espressi e via dicendo. Treni su cui viaggiano poche persone, con tariffe spropositate, lussuosi e in diretta concorrenza con il trasporto aereo. Insomma, nel corso di questi anni sono state create artificialmente due tipologie di trasporto ferroviario differenti: una linea di serie A, privatizzata, ricca, costosa, e una linea di serie B, che serve i lavoratori pendolari e affidata sempre ad una società privatizzata ma controllata dallo stato. Insomma, una divisione di classe: le tratte redditizie sono state concesse (e svendute) ai privati, lasciati liberi di praticare qualsiasi tipo di tariffazione non essendo più obbligati a garantire la possibilità di spostamento lungo il territorio. Le tratte invece anti-economiche, non redditizie e sostanzialmente inutili per il mercato, sono state lasciate all’abbandono e alla gestione del privato in mani statali. Una divisione economica dei servizi che più chiara non si potrebbe. E si inserisce in questo discorso anche il tentativo della costruzione della TAV in giro per il paese e in particolare in Piemonte. Una linea, appunto, di classe. Un supertreno per i più ricchi, che potendosi permettere i costi esorbitanti decidono di sfrecciare fra le valli alpine per arrivare prima ai loro briefing, o ai loro brunch, o più prosaicamente ai loro shopping all’estero.
Tutto questo, inoltre, ha portato lo spostamento dei più poveri ad orientarsi inevitabilmente sull’auto. Mentre anni fa chi non poteva permettersi un viaggio in automobile era comunque garantito dalle ferrovie pubbliche, oggi un viaggio, poniamo caso, Roma – Milano, costa evidentemente di meno in automobile, soprattutto se si viaggia in più di una persona, ma addirittura arrivando al paradosso che è più economico viaggiare da soli in auto che in treno.
L’esempio paradigmatico delle privatizzazioni nei trasporti ci dice alcune cose: primo, non sono diminuite le tariffe in nessun settore; secondo, il livello dei servizi nel migliore dei casi è rimasto eguale a quando c’era il servizio pubblico; terzo ha creato, di fatto, al posto di un monopolio pubblico, un sistema oligopolistico di due o tre aziende per settore, che facendo cartello non hanno interesse ad abbassare il prezzo dei servizi mantenendo inalterato la qualità del servizio stesso. Il tutto, con guadagni di miliardi di euro per imprese private senza nessun tipo di ritorno sociale; quarto, infine, non intaccando minimamente il cancro del malaffare pubblico, ma anzi andando ad aggiungere alla corruzione pubblica quella privata, meno controllabile e dunque più efficiente. Questa si, è stata la vera svolta efficientista delle privatizzazioni nostrane