Quasi fosse colpa tua…
Romeo era un muratore provetto ma quattro anni fa per lui era iniziato il calvario: aveva perso il lavoro da dipendente di una ditta edile, così aveva deciso di aprire una partita Iva, di mettersi in proprio continuando a pagarsi i contributi da solo per arrivare alla sudata pensione. Ma, dopo la riforma Fornero, Romeo si era visto spostare la linea del traguardo a 67 anni e i 700 euro da versare all’Inps diventavano via via un incubo mostruoso. Del resto non poteva fare altrimenti se voleva vedersi riconosciuto il fatidico Durc, l’altro spettro che non lo faceva più dormire, il documento unico di regolarità contributiva, un certificato che consente di lavorare alla luce del sole. Se non hai il Durc, l’unica strada percorribile diventa il lavoror nero. Così Romeo aveva acceso due mutui, presso una banca e una finanziaria, per un totale di 15 mila euro. Ma lavorando in nero e con ditte sempre più spregiudicate non riceveva le paghe ormai da 10 mesi e la situazione era precipèitata: <Ho 10 mila euro di lavori non pagati, alla vigilia di pasqua il principale è fuggito a Napoli> (…) La pensione sociale della moglie e quella del cognato, ex capofabbrica in un calzaturificio della zona, non bastavano a coprire tutte le spese. E pchi giorni fa è arrivata la mazzata definitiva: una cartella esattoriale di Equitalia che minacciava le ganasce alla povera vecchia loro >Fiat panda blu parcheggiata in cortile. A quel punto i copniugio Dionisi si sono visti perduti, l’equilibrio si è rotto. Anche l’automobile pignorata. L’onta della rovina economica dev’essere sembrata insuperabile…(Fabrizio Caccia, Corriere della Sera del 6/4/2013). Non sappiamo quanto consapevolmente, ma oggi il giornalista del Corriere ha descritto in maniera lucida attraverso un fatto di cronaca le ricadute sociali di più di vent’anni di “riforme” del lavoro. Si, perchè a nostro modo di vedere il drammatico suicidio di Romeo Dionisi e Anna Maria Sopranzi racconta cosa è diventato questo paese più e meglio di mille libri di sociologia. Perduta ogni istanza collettiva di lotta la crisi viene percepita esclusivamente come una sconfitta o un fallimento individuale, addirittura qualcosa di cui vergognarsi. E così invece di provare ad organizzarti oppure di prendere quella maledetta macchina pignorata e mettere sotto il padroncino che non ti paga, l’usuraio che ti salassa o il ministro che ti ruba gli anni di vita, arrivi ad infliggerti il massimo della pena… quasi fosse colpa tua. Di fronte ad una tragedia del genere c’è veramente poco da aggiungere, vengono solo in mente alcuni versi di Gaber: Qualcuno era comunista perche’ con accanto questo slancio ognuno era come piu’ se stesso, era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita. No, niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare, come dei gabbiani ipotetici. E ora? Anche ora ci si sente come in due, da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano, senza piu’ neanche l’intenzione del volo, perche’ orai il sogno e’ rattrappito. Due miserie in un corpo solo.