Piero Ottone e quel fardello dell’uomo bianco…

Piero Ottone e quel fardello dell’uomo bianco…

Raccogli il fardello dell’Uomo Bianco / E ricevi la sua antica ricompensa: / Il biasimo di coloro che fai progredire / L’odio di coloro su cui vigili / Il pianto delle moltitudini che indirizzi. Era il 1899 quando Rudyard Kipling scriveva questi versi (leggi), vero e proprio manifesto delle imprese coloniali e imperiali a cavallo tra ‘800 e ‘900, giustificate con la necessità di “civilizzare” le popolazioni “inferiori” sparse in giro per il mondo. Per Kipling, dunque, le imprese coloniali non erano altro che un “fardello”, un “peso” per quegli uomini occidentali che, dopo aver impiegato la loro vita ad agire per la civilizzazione dei popoli “inferiori”, “metà demoni e metà bambini”, in cambio non ricevevano che biasimo.

Da allora molta acqua è passata sotto i ponti: guerre mondiali, movimenti di decolonizzazione e liberazione nazionale, nuove forme di imperialismo, sempre più indiretto e tuttavia non meno forte. Ma, soprattutto, la pubblicazione di centinaia di libri, storici e antropologici, sui crimini coloniali – anche degli italiani – e sulle conseguenze nefaste delle conquiste occidentali su tutti quei paesi che – non è un caso – chiamiamo in modo politicamente corretto “in via di sviluppo”. Sembra quasi superfluo stare a ricordare le opere magistrali sul colonialismo italiano in Etiopia, Somalia, Eritrea e Libia, di Angelo Del Boca, di Nicola Labanca, di Barbara Sorgoni, di Nicoletta Piodimani (leggi), di Eric Salerno (leggi), di Matteo Dominioni (leggi) . Inutile stare qui a ricordare come la storia del colonialismo italiano – che non è stato più docile degli altri – sia stata una storia di sfruttamento delle risorse, di violenze sessuali, di crimini contro le popolazioni civili, di dura repressione dei ribelli, di genocidi, di deportazioni, di segregazioni razziali, di campi di concentramento dove i reclusi morivano a decine, di uso di gas velenosi (come l’iprite) vietati dalla convenzioni internazionali, di disprezzo per le popolazioni di colore, di gestione politica basata sul terrore.

È quasi inutile ricordarlo, perché sono questioni note a chiunque abbia aperto un libro di storia negli ultimi 40 anni. Capita, però, che qualcuno non abbia assimilato niente di tutto ciò. Parliamo di Piero Ottone, l’uomo che impresse una tale svolta a sinistra al “Corriere della sera”, quando lo diresse, da provocare l’allontanamento di Indro Montanelli, colui che negò, in un’annosa quanto alacre polemica proprio con Angelo Del Boca, l’uso dei gas e delle armi chimiche degli italiani in Etiopia in quanto, secondo lui, quello italiano era stato un colonialismo mite e bonario, portato avanti grazie all’azione di un esercito cavalleresco, incapace di compiere brutalità, rispettoso del nemico e delle popolazioni indigene.

Ecco, dopo 40 anni, Ottone potrà riabbracciare metaforicamente e simbolicamente il suo ex nemico Montanelli, perché ha fatto proprie le sue convinzioni. Sull’ultimo numero del “Venerdì di Repubblica” – rivista che dà voce ai maîtres à penser del Pd e del centrosinistra – a pagina 127, si legge infatti un delirante fondo di Piero Ottone, intitolato Le colonie in Libia: ha senso scusarsi un secolo dopo?. Già dal titolo, ci vengono dei dubbi: l’Italia ha conquistato la Libia nel 1911-12 (100 anni fa), almeno ufficialmente, ma, dopo aver perso quasi tutte le posizioni nel 1915, ha combattuto contro la resistenza dei libici fino agli anni ‘30 (75 anni fa) per domarla, provocando 100mila vittime (la chiamavano “pacificazione”), e l’ha tenuta in suo possesso fino al 1943 (68 anni fa). Finita la guerra, l’Italia ha provato a mantenere almeno la Cirenaica come colonia, ma non le è riuscito. Quindi, “un secolo dopo” cosa? Già il titolo ci sembra fuorviante. Inoltre, l’Italia ha già chiesto scusa alla Libia per i crimini coloniali, lo ha fatto con un comunicato congiunto del 1999 e poi lo ha ribadito Berlusconi nel 2009: Ottone arriva almeno con 12 anni di ritardo, evidentemente il suo sterile chiacchiericcio ha altri scopi che non il dibattito sull’attualità politica.

Proseguendo nella lettura, il tono dell’articolo scende ulteriormente. Secondo Ottone, infatti, l’Italia non avrebbe niente di cui scusarsi con la Libia, l’Eritrea e l’Etiopia (la Somalia italiana non la nomina, non chiedeteci il motivo… sarà per il fatto che l’Onu, nel 1949, concesse ancora all’Italia l’amministrazione fiduciaria sull’“ex”colonia, che durò fino al 1960… e 50 anni fa non sono un secolo!) perché, secondo lui, da che mondo è mondo «la storia è tutto un susseguirsi di guerre e di invasioni, ora fra popoli appartenenti alla stessa civiltà, ora fra popoli appartenenti a civiltà diverse. Dovrebbe forse la Germania chiedere scusa alla Francia, perché le fece la guerra nel 1870? E quante scuse dovrebbe chiedere la Francia in giro per l’Europa, per le scorribande di Napoleone? L’Inghilterra dovrebbe scusarsi con l’India, la Francia con l’Algeria e il Marocco, il Belgio con il Congo»: quindi, secondo Ottone, la guerra franco-prussiana del 1870, guerra tra due grandi potenze che combattevano ad armi pari, fu come la conquista e l’invasione di paesi poveri, depredati e privi di quell’organizzazione statuale in senso nazionale che si erano dati gli stati europei nell’Ottocento.

Ottone, novello Kipling, scaglia però la sua lancia migliore nel finale dell’articolo: «D’accordo: non tutte le imprese di colonizzazione furono fatte bene. Alcune lasciarono in eredità grandi opere pubbliche e costumi progrediti, altre contribuirono scarsamente al progresso. Può darsi che come colonizzatori noi italiani non siamo stati fra i più bravi. Inglesi e francesi lasciarono dietro di sé una classe dirigente locale di qualche valore. Credo che i libici culturalmente più avanzati, quando lasciammo la Libia, potessero solo vantare il possesso della patente di guida. Ma insomma: anche la popolazione che abbiamo trovato nelle nostre colonie aveva i suoi limiti, era molto primitiva. Abbiamo fatto quel che abbiamo potuto. Scusarci, dunque, proprio no: non mi pare il caso». Sembrerebbe uno scherzo, ma non lo è. Gli italiani, per Ottone, sono come al solito “brava gente”, certo magari un po’ approssimativi (non come francesi e inglesi!), ma mica era colpa nostra! È che abbiamo colonizzato popolazioni troppo primitive, come diceva Kipling “metà demoni e metà bambini”. E, nonostante gli sforzi, riceviamo anche biasimo e richieste di scuse, roba da non credere…

Sorvoliamo sul valore o meno delle “scuse” a cui, tra l’altro, nel 2009, ben il 74% degli italiani si dichiarò contrario: del resto, l’Italia è il paese in cui la televisione pubblica si rifiuta da trent’anni di mandare in onda il film Il leone del deserto perché narra le gesta del condottiero libico Omar al-Mukhtar, che si oppose alla colonizzazione italiana. Di certo, però, queste parole mettono in luce un vuoto nella consapevolezza storica degli italiani – anche di quelli di che hanno diretto il maggior quotidiano nazionale – che fa riflettere. Come ha spiegato in passato lo stesso Del Boca, infatti, la mancata punizione per questi crimini abbia provocato la «rimozione quasi totale, nella memoria e nella cultura del nostro paese, del fenomeno del colonialismo e degli arbitri, soprusi, crimini, genocidi ad esso connessi».

Insomma, noi italiani abbiamo fatto del nostro meglio, ma ‘sti libici mica si sono civilizzati! Ci rifaremo al prossimo turno?