Noi – come sempre – ricordiamo tutto

Noi – come sempre – ricordiamo tutto

«Noi siamo l’impero e quando agiamo creiamo la nostra realtà. E mentre voi state studiando questa realtà, giudiziosamente, noi agiremo ancora, creando altre nuove realtà, che voi potrete soltanto studiare, e nient’altro».

Karl Rove, consigliere di G.W.Bush (2004)

L’arresto del generale serbo Ratko Mladic ha rigenerato, sui media italiani, quello stucchevole e scontato clima di concordia e visione unica del mondo e della storia che intossica la nostra percezione della realtà. Sono ormai decenni che la sinistra europea ha abbandonato l’idea che la storia e le vicende umane possano leggersi sotto un’altra lente, con altri occhi, interpretando diversamente ciò che l’informazione unificata ci propina ogni giorno come unica verità possibile.

Il giochetto andato di moda in questi anni è stato quello del male assoluto, del nemico dell’umanità: Saddam Hussein, Gheddafi, Ahmadinejad, Milosevic, e via dicendo. Oggi, Ratko Mladic. E, ogni volta, una sinistra succube culturalmente e politicamente segue il carrozzone mediatico senza proporre alternative interpretative, cedendo di continuo sul piano culturale e sociale in nome di qualche vago insieme di valori condivisi. Male assoluto contro cui tutti dovremmo unirci abbattendo le divisioni politiche che dividono la società.

Oggi è il caso di Ratko Mladic, che in pochi giorni ha oscurato Hitler&co come persona più orrida sulla terra, l’antiuomo contro il quale non esistono differenze politiche ma un’unica battaglia da combattere in nome dei diritti umani. Questo è il gioco portato avanti da sempre dalla storia “ufficiale”: de-contestualizzare e de-storicizzare ogni avvenimento storico, ogni fatto accaduto, per reinterpretare gli avvenimenti secondo i fini politici del momento. Non è revisionismo storico, bensì uso politico della storia. Da anni la destra sguazza in questa rilettura della storia, determinata dall’assenza di una interpretazione diversa e contrapposta. Il caso Mladic non fa eccezione, rappresenta anzi la quintessenza di questa battaglia culturale portata avanti dalle destre mondiali. Battaglia trionfante, vista l’assenza di una nostra visione del mondo da opporre a questa falsa lettura della realtà.

L’oblio storico in cui si inserisce la vicenda di Ratko Mladic ricorda molto da vicino la questione delle foibe. Si de-contestualizza e de-storicizza un evento storico per appropriarsene politicamente, facendo la conta dei morti senza capire chi, come, cosa e perché ha portato a quell’evento. E’ la creazione artificiale della realtà, proprio quella di cui parla Karl Rove nell’incipit di questo pezzo.

Non ci interessa difendere Ratko Mladic. Per noi potrebbe benissimo essere veramente il responsabile della strage di Srebrenica, e non cambierebbe nulla del nostro ragionamento. Perché il ragionamento è proprio un altro, e la conta dei morti non è un discorso che ci è mai interessato. A noi interessa contestualizzare e storicizzare ciò che è avvenuto, perché se ci mettiamo a contare i morti allora quelli serbi sono i più numerosi di tutti. Quindi ecco che il ragionamento che leggiamo sui giornali non tiene neanche da questo punto di vista.

Avremmo, invece, voluto leggere da qualche parte alcune di queste cose:

–      Avremmo voluto leggere che la Jugoslavia – stato indipendente, federalista e sovrano –  è stata scientificamente smembrata dalle spinte nazionaliste portate avanti dai peggiori partiti para fascisti regionali croati e sloveni, come “L’unione democratica croata” di Franjo Tudjman, partito di ispirazione Ustascia che ha portato la Croazia a dichiarare guerra alla Serbia. Il tutto, con l’avallo interessato dell’Europa e degli USA, manovratori occulti dello smembramento dello stato socialista della Jugoslavia e finanziatori dei nuovi eserciti regionali, come la “Guardia nazionale croata”.[1]

–        Avremmo voluto leggere che la già ridotta entità statale serba ha subito il tentativo di ulteriore smembramento, nel 1995, da parte del Kossovo su basi puramente etnico-religiose e non su particolari vessazioni o repressioni avvenute nella regione, che peraltro già godeva di un’autonomia politica non indifferente.

–        Avremmo voluto leggere che la reazione militare serba nel Kossovo è stata determinata da anni di epurazione etnica portata avanti dai nazionalisti albanesi presenti nella regione, che a causato morti tanti quanti se ne accollano al Mladic di turno, come il massacro di Kravica (371 morti accertati, mentre il governo serbo parla addirittura di 3287 corpi); epurazione cominciata sin dalla fine degli anni ottanta e che ancora prosegue, costringendo la popolazione serba alla fuga o all’esclusione sociale nella regione. Pulizia etnica peraltro simile a quella che i serbi hanno dovuto subire in Croazia e Slovenia, senza toccare però i sentimenti a senso unico occidentali.

–        Avremmo, infine, voluto leggere un accenno all’invasione militare NATO che ha bombardato un paese sovrano, smembrato e ridotto a micro-regione, perché voleva impedire l’ulteriore separazione di una sua porzione di territorio, il Kossovo appunto. Regione che ha assunto poi il ruolo di narco-stato, governato dalle mafie e centro di smistamento del narcotraffico fra medioriente e Europa.

Ecco, solo a seguito di questa parzialissima opera di contestualizzazione è possibile parlare di tutte le porcherie, evidenti, dell’esercito e della politica serba, condannare la strage di Srebrenica e portare sul banco degli imputati quanti fra generali, militari e politici serbi si macchiarono di crimini insensati. Però si era in guerra, e non vediamo su quel banco anche la controparte, facendo passare il concetto che sia stata la Serbia a iniziare la guerra o a volere lo smembramento. I “genocidi”, come li definiscono, ci sono stati da tutte e due le parti; mentre le ragioni no, quelle non erano da tutte e due le parti, ma qui pochi se le ricordano.

Senza questo sforzo interpretativo non è possibile capire perché personaggi come Mladic, o più ancora Milosevic, sono considerati in Serbia degli eroi nazionali, sentimento realmente popolare che non ha nulla a che vedere col fascismo. Ma certamente, se gli unici a portare avanti questo sforzo di memoria storica rimangono i fascisti e le macchiette alla Borghezio, le spinte popolari serbe vedranno solo loro come amici, con tutto quello che ne conseguirà.


[1] Nel novembre del 1994, Croazia e Stati Uniti firmarono un accordo militare che portò alla costruzione di una centrale operativa nell’isola di Brazza (Brač in Croato), dove la compagnia militare privata Military Professional Resources, Inc, su contratto del Pentagono, addestrava l’esercito croato su tattiche e operazioni di guerra. Nei primi giorni di maggio del 1995 venne lanciata dalle forze croate con paramilitari nelle pianure della Slavonia l’operazione Lampo (Operacija Bljesak). Nell’agosto dello stesso anno iniziò anche l’operazione Tempesta (Operacija Oluja) nella regione della Krajina. Obiettivo di queste campagne militari era la riconquista del territorio controllato dai serbi.

Greg Elich. L’invasione della Krajina serba. In La NATO nei Balcani a cura di Tommaso Di Francesco. Editori Riuniti, 1999.