Nell’Italia della crisi, dove a scioperare sono solo i calciatori…

Nell’Italia della crisi, dove a scioperare sono solo i calciatori…

 

Ok, è un po’ demagogico come titolo, ma ci può stare. Ci stanno anche tutte le critiche del caso ai riot inglesi, fatti di sottoproletariato senza speranze e soprattutto senza visione politica. Ma nell’Europa del 2011, fatta di capitalismo globalizzato, assenza di alternative politiche, insofferenza diffusa verso ogni tipo  “casta” più o meno reale, cosa vogliamo e dobbiamo aspettarci? Non sarà una rivolta di classe o con obiettivi sensati, ma poco importa. L’importante, ora come ora, è ribellarsi. Contro tutto e tutti, ormai sono poche le cose da salvare. Anche questa rivolta annegherà nella repressione e produrrà ulteriori giri di vite securitari senza aver raccolto nulla. Poco importa. Per parlare, per poter dire “questo va bene”, “questo no”, dovremmo quantomeno alzare noi il livello del conflitto (che non vuol dire scontro con le guardie e basta), e poi potremmo pontificare. E invece, qui nel bel paese, gli unici a portare avanti la lotta di classe sono i calciatori. Parlano di contratto nazionale, addirittura. Roba da novecento, insomma.

A parte gli scherzi, invece, volevamo parlare un po’ di questa cosa qua.

L’articolo di Ostellino pubblicato sul Corriere andrebbe letto con attenzione. Non perché dica cosa nuove o (contro)rivoluzionarie. Neanche perché scritto bene o perchè analizzi qualcosa che ci era sfuggito. No, Ostellino scrive delle cose che sanno (e condividono) tutti, interpreta il pensiero dominante di quest’epoca, però lo fa evitando i soliti camuffamenti di chi cerca di indorarci la pillola. Ostellino rende cristallino ed evidente, con la sua ingenue rozzezza, l’unica opzione politica accettata dal sistema. C’è chi lo dice con troppi giri di parole, come il centrosinistra, o chi va diretta al punto, come alcune frange del centrodestra, ma la sostanza è la stessa, ed è quella descritta da Ostellino con disarmante semplicità.

Insomma, per il Nostro, la colpa della crisi è dello Stato (figurarsi), e in particolare di tutte quelle normative da socialismo reale (sic)  che ancora permangono in Italia (si, dice proprio socialismo reale, senza sprezzo del ridicolo). Il debito pubblico è stato creato dal nostro stato sociale, troppo pesante e che ha garantito troppo e troppe persone. Per anni abbiamo bivaccato alle spese dello Stato, siamo andati in pensione ancora adolescenti, abbiamo preteso una sanità pubblica, abbiamo voluto dei servizi pubblici che in una vera democrazia liberale non avrebbero ragione d’esistere, ma soprattutto abbiamo preteso il lavoro garantito.

L’unica via d’uscita a questa crisi è quella di smantellare lo Stato in quanto tale. I rimedi li indica fin troppo candidamente: mettere in vendita il patrimonio dello stato, deregolamentare la Pubblica Amministrazione, liberalizzare il mercato, privatizzare tutte le aziende ancora in mano pubblica a cominciare dalle Poste, e ovviamente riformare il mercato del lavoro.

Tutti quelli che Ostellino indica come rimedi sono la realtà sociale italiana da trent’anni a questa parte: continue riforme del mercato del lavoro, privatizzazione di ogni settore pubblico della produzione e dei servizi, riforme continue sulle pensioni e un taglio continuo del welfare. Tutto questo ha prodotto la povertà economica che stiamo vivendo, la crisi che va avanti da anni e l’attuale attacco speculativo nei confronti della finanza italiana.

Ma soprattutto, sono clamorose falsità. L’Italia ha uno dei welfare state più ridotti d’Europa, una delle disoccupazioni più alte (qui si dovrebbe aprire tutto un discorso su come viene calcolata la disoccupazione, che un giorno faremo…ma voi credete davvero che in Spagna la disoccupazione sia al 20%, in Germania all’8%, in Francia al 9%, e in Italia, nell’Italia dove tutti scappano per trovare un lavoro stia all’8%? In Italia la disoccupazione viene calcolata con un sistema differente rispetto al resto d’Europa, e un giorno entreremo nel merito per smascherare anche questa colossale baggianata). Quindi, se il debito pubblico fosse stato prodotto dallo stato sociale, tutto il resto d’Europa dovrebbe avere un debito pubblico maggiore del nostro. Pensiamo solo alle socialdemocrazie scandinave, o alla Germania…dovrebbero essere tutte già fallite da tempo, e invece hanno i conti apposto…chissà com’è.

Noi non siamo vissuti per anni al di sopra delle nostre possibilità, come cercano di farci credere, ma nettamente al di sotto. Eravamo (e siamo) la seconda industria d’Europa e la quinta (ora settima) del mondo. Eppure, sia come Pil generale che come Pil pro capite siamo nettamente più in basso. Tutto ciò che viene prodotto dal lavoro, in Italia, non viene ridistribuito come negli altri paesi, e non è un caso che abbiamo un tasso di diseguaglianza sociale da terzo mondo. Noi abbiamo vissuto per anni al di sotto delle nostre reali capacità produttive. Anche in questo decennio, dove l’Italia ha ceduto continuamente posizioni in termini di ricchezza dello stato e delle famiglie, non abbiamo mai perso la nostra posizione industriale (cioè dietro la Germania, in Europa). Eppure siamo sempre più poveri, proprio perché il mercato, lasciato libero, ha spostato sempre più quote di profitto dai lavoratori ai padroni (personificati, in questo caso, dai fondi d’investimento, dalla rendita edilizia, dallo sperpero di denaro pubblico [cioè pubblico in mani private], ecc..). Tutto questo è stato l’Italia di questi decenni di sempre meno stato e sempre più mercato.

 

Eppure, perché Ostellino può dire queste cose senza essere deriso pubblicamente, zittito, ridicolizzato, denunciato? Perché queste cose le pensa tutto l’arco parlamentare, buona parte della politica fuori dal palazzo e tutti i sindacati confederali (vedasi il protocollo per la crescita di Confindustria e CGIL), ma soprattutto perché manca l’alternativa politica a questa deriva ultraliberista. Anche chi sarebbe contro, non trova alternative, e alla fine si adegua. Uscire da questo circolo vizioso è il nostro primo obiettivo.

Non abbiamo più un governo, commissariati dalla Banca Centrale Europea. Se c’era qualcosa di peggiore del berlusconismo, eccolo, confermando il detto che al peggio non c’è mai fine. Però questo peggio è stato preparato culturalmente e politicamente dal centrosinistra e dai loro alleati. Ritrovare la nostra autonomia politica e culturale è il primo passo per ricreare l’alternativa. Senza massimalismi, ma senza neanche cedere alla dittatura capitalista senza neanche combattere.