L’università delle larghe intese

L’università delle larghe intese

 

Interveniamo, ormai con qualche giorno di ritardo, sulla giornata del 12 dicembre all’università La Sapienza, in cui, durante la contestazione alla conferenza nazionale sulla biodiversità a cui avrebbero dovuto prendere parte anche Letta e Napolitano, la polizia, chiamata dal rettore Frati, ha caricato in città universitaria. Qualche centinaio di studenti sono partiti in corteo, andando a circondare il rettorato e l’aula magna in cui si svolgeva la conferenza, alla presenza peraltro dei ministri Saccomanni, Orlando, Lorenzin e altri. Hanno poi “violato” la recinzione che chiudeva l’intero piazzale antistante l’edificio e si sono diretti verso l’ingresso del rettorato, per provare ad entrare, trovandolo ovviamente chiuso al loro arrivo. A questo punto il corteo stava ripartendo verso il pratone, ma sono arrivati i reparti della celere che hanno caricato da dietro trovando impreparati gli studenti. Ci sono stati poi due fermi e una seconda carica, al che il corteo è ripartito più determinato di prima, ottenendo il rilascio dei fermati dopo poche ore, ma non riuscendo a mandar via le tre camionette della celere che hanno poi stazionato tutto il pomeriggio nel piazzale della Minerva.

Per quanto abbiamo visto quel giorno in piazza, ci è parso evidente che la polizia avesse un atteggiamento perfettamente in linea con la politica repressiva del governo delle “larghe intese” e commisurato alla radicalità espressa dalle piazze in questo autunno. Ciò che ci è parso inadeguato, partecipando alla mobilitazione e facendo politica all’università, è stato invece il livello organizzativo messo in campo dagli studenti, che si sono fatti cogliere del tutto impreparati dalle forze dell’ordine, nonostante il forte contributo dato alle mobilitazioni degli ultimi mesi. Ci è sembrato infatti che molti studenti e compagni dell’università tardino a digerire e superare l’eredità del movimento dell’Onda, rimanendo fortemente ancorati sia alle pratiche che alla narrazione vittimistica di quel periodo.

Se è cambiato l’impianto delle rivendicazioni e delle lotte sul diritto allo studio, che ormai vanno a mettere in pratica forme anche piuttosto radicali di riappropriazione, come l’occupazione degli alloggi, allora il conseguente atteggiamento della controparte non può che adeguarsi. Diremo di più: se l’università non può più essere considerata, nemmeno dalle narrazioni più ingenue, come quello splendido tempio della cultura e del sapere esterno alle dinamiche della società, ma è diventato un ulteriore luogo in cui si gioca la contraddizione tra capitale e lavoro e in cui le aziende private entrano per estrarre profitti e plusvalore, è evidente che i dispositivi repressivi messi in campo saranno adeguati rispetto alla partita che si sta giocando. Questo d’altronde l’abbiamo visto quest’anno già in altre università italiane, come a Milano e a Torino. Ci pare evidente quindi che l’unica via da percorrere sia quella dell’organizzazione e della definizione di obiettivi politici reali e concreti da raggiungere.

Pubblichiamo di seguito un’interessante documento prodotto dai compagni di Sapienza Clandestina, che ha il merito di definire in maniera chiara la situazione in atto. Compagni, peraltro, che condividono con noi diversi percorsi e con cui spesso ci ritroviamo in piazza fianco a fianco.

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Il 12D gli studenti di Roma sono stati protagonisti di una giornata intensa, in linea con quello che è successo in questo autunno nelle piazze di tutta Italia, in cui la rabbia espressa dagli studenti ha ricalcato il solco di quella rottura netta con le politiche governative dell’austerity che tutti i soggetti sociali in lotta stanno portando avanti giorno dopo giorno,una mobilitazione che, dal 19O, si è estesa a macchia d’olio riuscendo anche a raggiungere settori, come quello studentesco, che dopo il fallimento del movimento dell’onda sembrava destinato a liquefarsi nelle varie specificità della metropoli.

Crediamo che la scommessa di ripartire proprio da questa commistione categoriale, cercare di fare interfacciare realtà universitarie e metropolitane costruendo un livello materiale di condivisione di pratiche e di percorsi di lotta, sia stato l’elemento vincente per far ripartire quel meccanismo di attivazione studentesca che si era inceppato; allo stesso tempo è fondamentale sottolineare come questo sia stato possibile solo strutturando un intervento politico all’interno degli atenei che tentasse di intercettare i bisogni soggettivi degli studenti e significarli collettivamente aprendo spazi e liberando tempi di vita, rendendo di fatto il discorso della riappropriazione una pratica sperimentabile e riproducibile anche per gli universitari non militanti non soltanto nelle quattro mura di un’aula occupata.

La giornata appena trascorsa ci consegna due dati importanti: il primo è che Letta e Napolitano non si sono presentati ma hanno mandato al loro posto i plotoni della celere; il secondo, ad esso direttamente collegato è come anche le risposte che noi diamo devono essere necessariamente proporzionate alla durezza dell’apparato repressivo e rispecchiare la necessità di una contrapposizione netta all’impoverimento sostanziale a cui vorrebbero obbligarci. L’evento in sè della celere che carica in Sapienza, certamente qualcosa fuori dall’ordinario, se contestualizzato all’interno di un quadro d’insieme che ci sembra rispecchi l’immagine di una metropoli meticcia in lotta, riesce ad essere pensabile come ulteriore elemento arricchente; non perché ci piace prendere le botte o creare un’estetica del conflitto che “buchi lo schermo”, ma perchè rappresenta un punto di rottura, l’esplicitazione dello strapotere del rettore Frati e delle strategie del governo Letta e a questo non può che seguire una presa di coscienza collettiva sulla radicalità della fase nella quale ci troviamo e sulla necessità di essere animati da una determinazione forte nel tentativo di disarticolazione del dispositivo università.

All’aziendalizzazione, ormai compiuta,degli atenei corrisponde lo smantellamento definitivo del welfare studentesco; Il diritto allo studio assume ormai sempre di più I connotati di un privilegio, allo stesso tempo è sotto gli occhi di tutti come il “sapere” riprodotto nelle università non abbia alcun connotato neutro, ma è elemento cardine dello sfruttamento,sul piano tecnico quanto su quello soggettivo. Diventa allora necessario trasformare anche questo campo in un terreno di scontro aperto, fare I conti con chi è responsabile della trasformazione dell’università partendo dal destabilizzare le micro-dinamiche di potere che baroni e presidi di turno mettono in atto, costruendo contro-saperi collettivi, andando a spiegare agli studenti che non ha senso lamentarsi della crisi dell’università pubblica se non si aprono spazi in cui si prova a invertire la rotta.

Siamo consapevoli che il livello di militarizzazione messo in campo ieri nel nostro ateneo è legato a filo doppio con una strategia politica che vede sempre di più l’assoggettamento temporaneo di alcune zone; che siano interi territori o strade, la tecnica è la stessa: trasformarle di fatto in zone dove vige lo stato di polizia, dove non esiste più alcun diritto. Sembra che il governo Letta, in linea con i precedenti, ritenga che questo sia l’unico modo per cercare di isolare una rabbia sociale sempre più dilagante; che invece riesce molto pragmaticamente ad individuare I responsabili di questo stato di cose: una classe politica sempre più distante dalle esigenze reali della popolazione e un partito di governo, il PD, completamente immerso nei giochi di potere che alimentano speculazione, svendita del patrimonio pubblico, sfratti, sgomberi, e devastazione ambientale.

Crediamo fermamente che il gioco mediatico della divisione tra buoni e cattivi debba essere spezzato, allo stesso modo deve essere chiarito che non ci interessa passare per le povere vittime della brutale violenza della polizia; alle cariche noi rispondiamo SENZA PAURA, SENZA INDIETREGGIARE, perché non siamo diversi da chi tutti i giorni resiste nelle strade e nelle piazze d’Italia; studenti medi, migranti, facchini, occupanti di case: QUI NESSUNO ARRETRA! La determinazione che dimostriamo vuole significare che i tempi stanno cambiando; che non siamo più disposti ad accettare bugie e giustificazioni dei potenti di turno, che l’università la vogliamo ricostruire a seconda dei bisogni reali degli studenti, un sapere che non sia più schiavo delle retoriche del potere ma che riesca ad essere reale strumento per coltivare la criticità di pensiero e la pratica di lotta.

Fiduciosi che questo sia solo l’inizio,ci lasciamo alle spalle questo autunno molto soddisfatti di come siamo riusciti a rendere di nuovo l’università un terreno di scontro aperto tra chi vive le contraddizioni della crisi e chi le determina; speriamo che gli spazi di confronto che si sono aperti in questa stagione riescano a costruire con la stessa determinazione e intelligenza un percorso in avvicinamento al vertice sulla disoccupazione giovanile che si terrà ad aprile a Roma; riproducendo quell’intreccio virtuoso tra esperienze diverse ed eterogenee che però riescono ad individuare e combattere attraverso riappropriazione e conflitto un nemico comune: le politiche di austerity e la precarizzazione dell’esistenza.

Sapienza Clandestina