Le nuove frontiere della lotta al terrore

Le nuove frontiere della lotta al terrore

 

Leggiamo oggi sul Corriere un trafiletto che “magari” avrebbe meritato ben altra visibilità. Una di quelle notizie che ogni tanto si incagliano negli interstizi dell’informazione, e che lette con l’attenzione che meritano ci mostrano molto più di quello che dicono. A conferma che le notizie, anche sui giornali “borghesi”, ogni tanto emergono, e bisogna solo interpretarle.

Essendo un trafiletto, molto del pezzo è dato dal titolo, che infatti ineffabilmente sentenzia: “Voleva colpire il congresso, L’FBI incastra il kamikaze dandogli finte bombe”. Sembra tutto rientrare nella normalità: il solito terrorista, beccato fra New York e Washington, in procinto di ammazzare centinaia di cittadini americani ma prodigiosamente bloccato in tempo dalla polizia. Dal 2001, non passa mese che non ne abbiano arrestato uno. Capire come vanno a finire queste accuse e gli eventuali processi è sforzo sovraumano. Il tutto finisce con l’arresto, l’opinione pubblica è contenta e si sente al contempo più sicura e più minacciata. Quel tanto che basta per dare sempre più soldi e potere agli apparati repressivi ma, allo stesso tempo, avere fiducia nella politica che li governa, sempre in prima linea nella lotta alla criminalità. Il mix di sostegno implicito all’illegalità e lotta esplicita alla criminalità non è certo in questi anni che viene denunciato, costituendo uno dei cardini irrinunciabili per il controllo sociale dei territori e delle popolazioni.
Il problema della notizia è però nel trafiletto. Il presunto terrorista, un giovane marocchino di 29 anni, nel corso di una discussione – non si capisce bene dove e con chi – aveva espresso la volontà di compiere un attentato. Subito si mette in moto la macchina poliziesca. L’FBI prima gli organizza una serie di incontri con agenti segreti che si fingono emissari di Al Qaeda a Washington, poi lo addestrano e in seguito lo riforniscono delle bomba (finta) e di una pistola (finta).
Insomma, l’FBI fomenta e irretisce il giovane marocchino, organizza fattivamente l’attentato, lo rifornisce del materiale e, finalmente, ieri pomeriggio il giovane si presenta davanti al congresso con gli armamenti (finti), subito arrestato dagli agenti. Sembra un racconto irreale e degno forse di 1984, ma è invece la prassi costante con cui le forze di polizia americane “scovano” i presunti terroristi. Stando almeno al pezzo, questa tecnica è stata già usata in decine di altri casi. Un passaggio un po’ troppo esplicito, per non farci credere che questa sia effettivamente la norma: costruirsi in casa il terrorista perfetto per poi arrestarlo e far di lui perdere le tracce. Magari liberarlo fra qualche mese, quando si sarà persa memoria di lui e l’opinione pubblica statunitense si sarà baloccata con qualche altro fenomenale arresto in flagranza.
C’è “addirittura” qualche associazione per i diritti civili che si oppone, lamentando il fatto che così si “incita il terrorista all’azione” anche contro la sua volontà. Poco importa. L’importante è l’obiettivo raggiunto: l’opinione pubblica è sempre all’erta ma allo stesso tempo tranquillizzata, la politica repressiva americana ne esce sempre più rafforzata, la lotta al terrorismo mondiale va sempre più spedita.