Le interlocuzioni riformiste
Qualche giorno fa indicavamo come utile alla causa – anche “rivoluzionaria” – il ritorno di un “partito del lavoro”, magari riformista, ma che fosse capace di riorganizzare politicamente la classe dandogli una prospettiva storica oggi completamente venuta meno. Un auspicio che obiettivamente si scontra con l’impossibilità oggettiva di un ritorno ad un riformismo socialdemocratico: nella neolingua liberista “riforma” ha sostituito il concetto di “controriforma”, per cui oggi qualsiasi riforma è un effettivo passo indietro per i diritti economici, sociali, politici dei lavoratori. D’altronde, un riformismo senza riforme è destinato immediatamente al fallimento, e oggi non c’è alcuno spazio per la mediazione politica basata sulla parziale redistribuzione dei redditi, sia per cause oggettive che soggettive. E’ però bene rifuggire da qualsiasi determinismo storico, e quello che accadrà in futuro sarà solo la nostra capacità – o incapacità – politica a stabilirlo.
Questo nostro auspicio – chiamiamolo così – metteva però in guardia da una pericolosa traiettoria che andava evitata ad ogni costo, e cioè una possibile convergenza tra ragioni dei movimenti di classe e questa ipotetica forza socialdemocratica: “la visione politica della FIOM e di Maurizio Landini altro non è che la reiterazione di un discorso socialdemocratico, keynesiano, riformista, che non può essere il nostro, e che è figlio diretto dell’ideologia “picista” del sano riformismo operaio, del patto fra produttori, del costituzionalismo e della legalità quale fine ultimo della “buona politica”. La sinistra dei Cofferati e dei Damiano, dei Salvi e degli Epifani, e di tutta quella combriccola che quando si è posta sul piano politico ha fatto solo danni e repressione”. L’avvertimento non era pensato in maniera astratta, ma visto le attuali evoluzioni del panorama politico, era molto più che concreto. E infatti, neanche qualche giorno dopo, ecco l’immediata conferma. Partiamo però dalle premesse.
Stiamo vivendo un autunno sindacale tra i più freddi della storia. A parte lo sciopero generale del comparto della logistica, avversato, ostacolato, boicottato soprattutto dalla CGIL, nessuno sciopero è stato ancora proclamato contro la peggiore controriforma del mercato del lavoro dal pacchetto Treu. Proprio ieri la CGIL di Bergamo, subito appoggiata dalla segreteria nazionale, ha proposto agli imprenditori lombardi un “patto anti-sciopero” per l’EXPO, in cambio di qualche misero “adeguamento” in busta paga. La sostanza di questo accordo sarà l’impossibilità per i lavoratori – di tutti i lavoratori, anche dell’indotto legato all’EXPO – di scioperare durante l’esposizione milanese. A fare da contraltare alla pacificazione sindacale odierna, la manifestazione del 25 ottobre, una manifestazione senza sciopero, che ha portato in piazza centinaia di migliaia di persone, ma che è politicamente figlia di uno scontro interno al PD che ne ha determinato l’accentuata visibilità. In questi anni sono state infatti numerose le manifestazioni di massa promosse dalle CGIL, tutte indistintamente passate sotto silenzio dall’apparato politico-mediatico. La sovraesposizione della piazza sindacale del 25 ottobre è allora da leggersi altrove che non in un rinnovato spirito battagliero confederale, spirito assolutamente non suffragato da alcun fatto. Eppure, la CGIL, la FIOM, e soprattutto Landini, passano oggi come i più coerenti e sinceri oppositori del governo Renzi.
Come volevasi dimostrare, l’incauto innamoramento politico verso l’apparato confederale ha subito prodotto tentativi di interlocuzione. Il problema però sta tutto nei presupposti che si danno a questa interlocuzione. Se è volta a spingere Landini verso un più accentuato conflitto sociale, a stanarlo dal suo opportunismo anti-renziano, come già detto altre volte, ben venga. Se invece è l’ennesimo, trito, scontato, ultra-riformista tentativo di sponda politica, di interlocuzione politica verso il leader in pectore della nuova eventuale formazione, non farà altro che riproporre l’errore costante di questo trentennio, quello cioè di scendere a patti col riformismo in una fase politica completamente diversa, dove lo spazio per la mediazione si conquista col conflitto e con una strategia politica, e non con l’ennesima alleanza politica (elettorale?) col riformista di turno, tatticista, di corto respiro. Landini, oggi, non è un nemico, ma un possibile alleato sociale con cui potenzialmente intrecciare alcuni percorsi tattici d’opposizione sociale al governo. Non è però neanche un amico politico, e questo è doveroso sottolinearlo in ogni momento.