la loro riforma delle pensioni…
Arriva luglio, e puntuale come il tormentone radiofonico ecco che si ravviva il dibattito sulla riforma del sistema previdenziale, che tradotto significa: come facciamo a evitare che i lavoratori possano godere del sacrosanto diritto alla pensione. In un consumato gioco delle parti maggioranza, opposizione e confederali si rimpallano il famigerato cetriolo che tanto si sa già dove andrà a finire. Ieri è stata la volta di Franceschini che, spalleggiato da Bersani, ha aperto al prolungamento dell’età pensionabile purchè su base volontaria. Si, si, si, gli hanno fatto eco CGIL, CISL e UIL. No, no, no, hanno ribattuto dalla maggioranza. Se ci deve essere un prolungamento, che sia coatto, ha tuonato Brunetta, altrimenti i lavoratori non abboccheranno. E per dimostrare che fa sul serio il miniministro (quello col cuore troppo, troppo vicino al buco del culo) prepara l’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni per le lavoratrici del pubblico impiego. E dire che tutto questo avviene a pochi giorni dall’entrata in vigore della (contro)riforma Prodi/Damiano. Quella che impedisce di andare in pensione a chi non raggiunge la famigerata quota 95 (60 anni di età + 35 di contributi), con l’asticella che verrà poi spostata a quota 97 fra tre anni. Ora ci chiediamo, e vi chiediamo: ma quanti lavoratori di questa generazione potranno mai soddisfare questi requisiti? Chi entra oggi nel mondo del lavoro lo fa attraverso forme di contrattazione atipiche (che poi tanto atipiche non sono, visto che coinvolgono oltre 5 milioni di persone) e nella maggior parte dei casi vi rimane infognato per anni, se non per sempre. Non farebbero prima a dire che la pensione è stata abolita? E poi, per usare una metafora tanto cara ad Ichino e ad i suoi epigoni, se raffiguriamo il mercato del lavoro come un lago, in cui i giovani rappresentano l’affluente e i pensionati l’effluente, bloccando questi ultimi non si ingolfa il sistema condannando i primi alla disoccupazione? La sensazione è che proprio su questo tema si misuri oggi la vittoria culturale ed ideologica della borghesia. Milioni di lavoratori e lavoratrici vengono derubati della pensione (e quindi del diritto a godere di una vecchiaia autonoma e serena) ma non si ribellano perchè, semplicemente, non se ne accorgono; confinati come sono in un eterno presente in cui ogni idea di futuro è bandita per far spazio al iperconsumo. E soprattutto perchè orfani di una sinistra che ha da tempo abdicato al proprio ruolo. Come uscirne? D’istinto ci vengono in mente cinque vertenze intorno a cui sarebbe il caso di ripartire e che qui lanciamo solo come parole d’ordine, anche perche sicuramente perfettibili ed implementabili:
1) riduzione generalizzata dell’età pensionabile nel quadro di una riduzione genralizzata dell’orario di lavoro a parità di salario e di ritmi;
2) ritorno al sistema retributivo;
3) riconoscimento e cumulabilità della contribuzione “atipica” con quella tipica (es. ritenuta d’acconto);
4) riconoscimento di un anno di contribuzione pieno per chi ha lavorato almeno 100 giorni anche se con contratto atipico ed in maniera intermittente;
5) indicizzazione automatica delle pensioni al costo della vita reale