La crisi dell’Italia e quella degli italiani

La crisi dell’Italia e quella degli italiani

 

Ci hanno insegnato, a scuola e all’università, che la peggiore congiuntura possibile per un’economia è quella della famigerata stagflazione. Quando, cioè, si sommano contemporaneamente una stagnazione economica e una deflazione dei prezzi. Ce lo hanno ripetuto come un mantra, nelle nostre cattedrali del pensiero neoliberista che sono le nostre facoltà. Dunque dovremmo accogliere con tripudio di liberazione i numeri che ha elaborato il centro studi dell’Ansa, che ci conferma come, a un decennio di crisi e recessione economica, sia invece continuato a crescere il livello dei prezzi. Olè!

Veniamo a sapere, infatti, che nel decennio 2000-2010 l’inflazione ha viaggiato su una media del 3% reale all’anno, a cui ha fatto seguito un incremento degli stipendi dell’1,7% annuale. I nostri redditi quindi hanno perso una media dell’1,3% all’anno rispetto al costo della vita. La vita reale osservata con le statistiche, però, non riesce a descrivere proprio tutto. E infatti, nel corso di questi dieci anni quel numeretto che identifica l’inflazione non descrive esattamente la situazione. In realtà, invece di aumentare del 30%, i prezzi dei generi di prima necessità e affini sono aumentati di molto sopra il 100%. Insomma, mentre continuavamo a perdere quote di reddito, i prezzi delle merci che acquisiamo più frequentemente sono più che raddoppiati. (Di esempi se ne potrebbero fare a migliaia, lasciamo perdere. Per dire, oggi ho fatto colazione al bar con 2 euro, cioè 4000 lire. Nel 2000 per fare colazione al bar spendevo 2000 lire. Un aumento netto, insomma, del 100%, alla faccia del 3% d’inflazione…)

Da dove derivi questa continua perdita del potere d’acquisto, che sta alla base della crisi economica che stiamo vivendo da anni, è presto detto: dagli accordi del Luglio 1993, con i quali veniva definitivamente abbandonato lo strumento della “scala mobile” per adeguare gli stipendi al costo della vita (strumento peraltro già revisionato da Craxi nel lontano 1984). La scala mobile, infatti, garantiva il collegamento fra inflazione e livello degli stipendi. Se in un dato anno l’inflazione fosse stata del 2,7%, gli stipendi l’anno successivo sarebbero cresciuti almeno del 2,7%. Semplice, lineare, immediato, scontato. E invece, dal 1993, col beneplacito di tutti quei sindacati che oggi si lamentano della perdita di potere d’acquisto dei consumatori, il livello degli stipendi non è più agganciato all’inflazione. O meglio, gli stipendi sono agganciati alla previsione che il governo fa del livello d’inflazione del prossimo anno. Per cui, in sede di contrattazione nazionale, se il governo prevede che l’inflazione sarà del 1,5%, l’adeguamento degli stipendi sarà dell’1,5%. E poco importa se poi,statistiche alla mano, l’inflazione reale risulti essere del 2,5%. Il contratto è firmato. Oltretutto, i contratti in genere durano più anni, per cui il livello previsto di inflazione non potrà essere più modificato.

Per ritornare alle fredde statistiche, che però in questo caso non fanno altro che confermare un dato che noi già vivevamo da tempo sulla nostra pelle, vediamo come, nel decennio 2000-2010, la media degli aumenti per i prodotti di largo consumo è stata del 53% (!). Il potere d’acquisto, invece, è diminuito del 39% (!!). Insomma, se nel 2000 guadagnavamo l’equivalente di 1000 euro, oggi ne guadagniamo neanche 700, ma i prezzi, e qui viene il bello, sono raddoppiati. Per cui, quei già miseri 800 euro finiscono per valere come neanche 600 euro del 2000.

E’ proprio questa l’anomalia italiana: non è un paese ricco (il suo PIL pro capite viaggia intorno al trentesimo posto nelle graduatorie mondiali), ma ha i prezzi da paese ricchissimo, che aumenta ancor di più la disparità sociale e il livello di povertà reale del nostro paese.

E poi ci si domanda perché la gente d’indebita sempre di più, creando bolle finanziarie che puntualmente esplodono facendo da moltiplicatore ad una crisi che stavamo già vivendo. Come dire, senza sapè né legge né scrive, se la situazione è questa meglio la stagflazione all’inculata liberista di questi anni.