La consapevolezza che emerge dalle lotte definisce i suoi nemici

La consapevolezza che emerge dalle lotte definisce i suoi nemici

 

Le mobilitazioni di questo autunno hanno tutte dei tratti comuni che le definiscono in opposizione a questo decennio paludoso. Sono radicali, ma al tempo stesso non riflettono una disperazione senza obiettivo che non sia l’esplosione di una violenza fine a se stessa. Non accettano compromessi istituzionali, mediazioni al ribasso o gestioni della propria forza, e per adesso sono tutte caratteristiche positive. Mancano di organizzazione politica, ma non di una organizzazione, che invece sta gestendo positivamente alcuni passaggi di crescita collettiva in questi anni assenti. E nel suo sviluppo, questa che noi abbiamo definito radicalità diffusa precisa i suoi obiettivi, che nonostante l’assenza di direzione politica complessiva, si stanno definendo in maniera assolutamente cosciente. Ieri è stato il turno del PD, e questo episodio di lotta mette immediatamente quella piazza su un gradino di coscienza più alto rispetto al passato e ad altre piazze numericamente simili. La piazza cioè sta facendo esperienza, e nel suo percorso determina sempre meglio i suoi nemici e gli obiettivi da praticare.

Come avevamo scritto negli striscioni attaccati il giorno prima per tutta Italia, e ribadito nelle assemblee di movimento per la costruzione della giornata del 20, il responsabile principale dello stato di cose presenti, l’attore politico che ha determinato questa fase storica dell’attuale assetto politico-economico europeo, è il centrosinistra, tanto italiano quanto europeo. Non una vaga e vuota retorica contro il governo di turno; neanche una ideologia rabbiosa contro il governo “delle larghe intese”, altrettanto vuota d’analisi e di prospettive. Il nemico politico di questi anni è il PD, e con lui tutta la famiglia socialista europea. Il centrosinistra europeo è il principale sponsor e fautore dell’Europa monetaria; è l’artefice primo dell’europeismo fondato sul rigore dei bilanci e dell’impostazione monetarista; è la prima parte politica ad aver attaccato la legislazione lavorativa e ad aver sancito la precarietà contrattuale; è la sponda politica da cui sono partite le politiche neoimperialiste europee (Blair e Schroeder, Hollande e Prodi). Insomma, oggi l’ideologia europeista, mercatista, imperialista, ritrova le sue sponde politiche principali nei governi di centrosinistra e nei partiti un tempo social-democratici.  

Riflettendo sui propri nemici, finalmente ieri la piazza ha rotto gli indugi e ha chiarito che il PD è uno dei nemici, e non una delle possibili sponde politiche con cui accordarsi nella manfrina elettorale. Proprio per questo, ieri era prevista l’occupazione della sede nazionale del PD, per andare a dire ai principali responsabili di questa crisi che sono loro il nostro nemico, non altri. Iniziativa saltata per colpa delle forze dell’ordine preventivamente schierate a sua difesa, e magari anche per una nostra scarsa organizzazione. Quello che doveva essere e non è stato, si è riprodotto a Campo de Fiori, dove ha sede la storica sezione del fu PCI in via dei Giubbonari. A dire la verità, niente di preordinato e di particolarmente violento. Anzi, se non fossero usciti dalla sede per difendere non si sa cosa, il corteo avrebbe probabilmente ignorato la presenza della sezione. Ma proprio la miccia scatenata dai sostenitori del PD ha dato il via a una risposta politica ben precisa e che, purtroppo, si è limitata a un imbrattamento della porta esterna, fatto subito amplificato a dismisura dai giornali che non aspettavano altro.

Qualcuno ci è rimasto male. Ad esempio, il Manifesto, che ieri in prima pagina non trovava nient’altro da dire che contrapporre la piazza pacifica del 16 novembre in val di Susa ai “violenti” di mercoledì, che se la prendevano addirittura con un partito di centrosinistra, dimostrando la loro sostanziale rabbia impolitica e priva di contenuti. Oltre al Manifesto, immaginiamo tanti altri “rosicamenti”, di chi per anni ci convinceva a votare il male minore, a chi intravedeva ipotesi progressiste nel partito del grande capitale. Non è così. Quella risposta di piazza non solo era consapevole, cosciente politicamente di cosa si andava a colpire, ma lo ha ribadito anche dopo, nelle dichiarazioni a freddo di alcuni suoi esponenti politici: il PD, il partito dell’Alta Velocità e della Confindustria, è il nostro nemico, non un nostro possibile alleato. E, aggiungiamo noi, ogni alleato del PD (leggasi SEL e frattaglie), nemico di conseguenza. E se ieri non è riuscita l’occupazione, non per questo nel futuro non torneremo a colpire politicamente i nostri nemici.

La piazza di mercoledì potrebbe però segnare una possibile (possibile, non probabile) fase di stallo, una fase caratterizzata cioè da un accumulo di forza sociale che non riesce a capitalizzare politicamente alcunchè. C’è il rischio, cioè, di accumulare energia che, senza obiettivi politici chiari, una strategia concreta e dei passi in avanti tangibili, possa arrivare a un suo culmine per poi dissiparsi lentamente. Questo movimento ha cioè bisogno di vittorie, di parziali successi lungo il suo cammino (questo è esattamente uno degli esempi da cogliere nella lotta contro il TAV: impedire la costruzione dell’opera per venti anni è *la vittoria*, per quanto parziale, che permette a quel movimento di continuare il suo cammino). Questo movimento ha bisogno di capitalizzare politicamente questa sua forza, questa sua capacità di rompere lo schema predefinito. Ma per fare questo, è necessaria un’organizzazione politica che sappia predisporre questi passi in avanti. L’organizzazione sociale, in una fase di progressiva mobilitazione, non può bastare. Senza per questo negare tutti i meriti che in questa fase alcune precise organizzazioni, quali il Movimento cittadino di Lotta per la Casa o il BPM, stanno avendo, se questo movimento crescerà avrà bisogno di una strategia politica organizzata. Che non è ancora, sia detto chiaramente, il “Partito”, ma che non può essere neanche la spontaneità di vivere giorno per giorno nell’attesa di una miccia che incendi la prateria.