Il senso della democrazia e le logiche del profitto


Strano modo di intendere la democrazia, quello dei dirigenti FIAT: a votare sulla condizione in fabbrica determinata dal nuovo accordo per Mirafiori c’erano anche gli impiegati. Quelli che lavorano in ufficio, definiscono le linee gestionali della fabbrica, vanno a lavoro in camicia e cravatta. Hanno votato quasi tutti si, determinando la vittoria del referendum dell’azienda. E’ sicuramente un episodio singolare, ma per il Marchionne va bene così, il referendum è passato e si potrà finalmente iniziare a produrre come dice lui, in maniera moderna ed economica. E invece no. Dal 14 Febbraio la FIAT chiederà al governo di prolungare per un altro anno la cassa integrazione straordinaria in deroga. Sembra una barzelletta, ma la vittoria dei si ha determinato un altro anno di fabbrica chiusa, di lavoratori a spasso con il 50% dell’ultimo salario percepito, e in più insultati quotidianamente come assenteisti, poco produttivi, vecchi rincoglioniti. Dunque, se i si produrranno la chiusura di Mirafiori, è lecito chiedersi cosa diamine avrebbe prodotto una vittoria dei no. Probabilmente un bombardamento aereo su Torino.

Ma è il momento di cambiare pagina, di guardare al futuro. I si, grazie ai colletti bianchi, sono passati. Evviva, sicuramente da oggi ci sarà più lavoro per tutti. Però, al di là della chiusura aziendale fino al terzo trimestre 2012, dunque fino a ottobre, dunque quasi due anni, non è la prima volta che una fabbrica, e soprattutto la FIAT, opera una ristrutturazione aziendale. Nel 1979 lavoravano in fabbrica circa 65.000 operai. Dopo la ristrutturazione del 1980, portata avanti guarda un po’ sempre dai mitici FIM-UILM-FISMIC, i lavoratori FIAT di Mirafiori sono scesi a 40.000 circa. Grazie al fondamentale appoggio, ieri come oggi, dei colletti bianchi e alla loro marcia dei quarantamila. Che poi in realtà fossero poco più di cinquemila (a detta dello stesso suo organizzatore Luigi Arisio, che ha poi fatto ovviamente fortuna come deputato del partito repubblicano) è una cosa che non si deve dire perché sennò si passa per antidemocratici. Detto ciò, dopo aver messo in cassa integrazione 20.000 lavoratori e aver raggiunto il suo massimo sviluppo del triennio 1987-1990, gli operai FIAT sono continuati a diminuire. Da 40.000 a 20.000 a 15.000, fino agli odierni 5.500. Parallelamente, insieme ai lavoratori diminuiva anche la produzione.

Tutto questo per dire cosa? Anzitutto, che quello avvenuto in questi giorni è un film già visto. Parlano di modernità, di stare al passo coi tempi, di flessibilità lavorativa per mascherare la volontà di ridurre ulteriormente il personale e per farlo lavorare di più. Aumentare la produttività, la chiamano. Ora, chiunque abbia studiato un po’ d’economia sa che gli investimenti aziendali si compongono di due aspetti:  gli investimenti a capitale fisso e quelli a capitale variabile. Gli investimenti a capitale variabile sono i costi del lavoro, dunque gli stipendi e i corsi di formazione. Quelli a capitale fisso riguardano i costi che l’azienda affronta per i macchinari, le fabbriche, i capannoni. Detto questo, alla FIAT (ma come in ogni altra fabbrica di grandi dimensioni) il costo del capitale variabile incide per il 7% su totale del capitale. Il restante 93% è costituito dagli investimenti in capitale fisso e tutto il resto, che in genere significa super-stipendi per i super-manager, spese di rappresentanza, acquisizioni aziendali, ecc…Cosa significa questo? Significa che quello di tagliare il costo del lavoro per ammodernare un impresa è una scelta del padrone, non una necessità. Potrebbe tranquillamente tagliare su quel 93% di capitale, in cui sono presenti molti sprechi. E invece, ma tu guarda il caso, la FIAT ha deciso ancora una volta di andar a tagliare in quel 7% costituito dagli stipendi. Anche perché produrre di più allo stesso stipendio è identico a produrre uguale tagliando gli stipendi. E così, mascherando tutto questo ragionamento con i due termini di “produttività” e “assenteismo”, ecco che la macchina ideologica del capitale ha creato il suo mostro: non si produce perché gli operai sono poco produttivi e si assentano troppo dal lavoro. Per vedersi le partite del Napoli o del Torino. No perché gli investimenti in ricerca e innovazione della FIAT sono fermi, perché si producono poche auto e fatte male, e inoltre ad un prezzo esorbitante rispetto alla concorrenza (una Bravo costa come una Golf, però ci sono alcune piccolissime differenze fra le due auto…così, tanto per fare un esempio…).

Detto ciò però ci preme iniziare a sottolineare un altro aspetto della questione, e cioè le risposte e le proposte che stanno portando avanti i cosiddetti democratici, o riformisti, o come diavolo si chiamano oggi quelli del campo della “sinistra” riformista. Che magari è anch’essa vicina agli operai che hanno votato no. Ma su quali basi? Ecco, sarebbe il caso di iniziarne a parlare brevemente. Secondo questi paladini del capitalismo sociale, esemplificato benissimo dall’editoriale di Scalfari oggi su Repubblica, la soluzione sarebbe il modello di gestione e rappresentanza adottato in Germania e negli USA. Dunque il Marchionne sarebbe un problema non perché stia attivando un nuovo processo di ristrutturazione che vede poggiare tutta la responsabilità dei problemi della FIAT sui lavoratori, ma perché non condivide il suo consiglio d’amministrazione coi sindacati. Insomma, il magico modello tedesco, quello della partecipazione sindacale ai profitti dell’impresa. E’ proprio questo quello che dovremmo iniziare ad analizzare con più perizia, visto che in un modo  nell’altro sarà proprio il modello che si affermerà anche in Italia: la partecipazione dei sindacati al profitto dell’impresa. Ora, se questa è la cura proposta dai “democratici”, molto meglio il modello Marchionne. Inserire i sindacati nelle logiche del profitto aziendale significherebbe cooptare gli eletti a rappresentanti dei lavoratori nelle logiche della produzione, della produttività, dei sacrifici in nome del profitto aziendale. Insomma, proprio quello che succede in America, dove infatti non esiste lotta di classe proprio perché anche i profitti dei sindacati verrebbero intaccati da eventuali scioperi o lotte operaie. Significherebbe trasformare anche i sindacati in strumenti di controllo sociale dei lavoratori, volti ad essere i rappresentanti dei lavoratori nel profitto dell’impresa. Nulla a che vedere con una qualche forma di “controllo” operaio sull’azienda, tutto si ridurrebbe a far partecipare degli utili dell’impresa i vari capetti sindacali, che in vista di maggiori profitti annullerebbero qualsiasi ipotesi di lotta, di vertenze lavorative, di conquiste salariali. Insomma, è bene dirlo per tempo, il rimedio sarebbe di gran lunga peggiore del male. Teniamoci Marchionne dunque, e teniamoci i sindacati conflittuali. Solo da questo possono derivare miglioramenti per i lavoratori. E i primi a saperlo sono proprio loro, i lavoratori; non a caso, in queste settimane, gli iscritti FIOM sono in netta crescita, soprattutto a Mirafiori. Qualcosa vorrà pur dire..