Il miraggio dello sciopero

Il miraggio dello sciopero

Dopo aver per mesi chiesto e richiesto uno sciopero generale, il tema sembra ormai andato fuori moda. La tristissima prestazione del 28 gennaio ne ha dato la dimostrazione. In realtà, a parte la FIOM, nessuno in Italia è pronto ad affrontare il carico politico e sociale che comporta uno sciopero veramente generale.

Non è pronta la CGIL, che non ne vuole sapere. L’unica linea politica in questo momento assunta dal maggiore sindacato italiano è quella della cacciata di Berlusconi. Ecco perché, se alla fine dovesse rompere gli indugi, sarà unicamente per un imboccamento del PD, interessato solo a sfruttare le dinamiche sindacali in funzione politica. E uno sciopero convocato in questa maniera e su quegli eventuali temi non è chiaramente nell’interesse dei lavoratori e degli iscritti al sindacato, nonché un nostro interesse. Che in ogni caso non ci pensa minimamente, più attenta a non irritare gli animi suscettibili del terzo polo piuttosto che portare in avanti le rivendicazioni dei lavoratori.

Men che meno sono pronti i sindacati di base. Lo si è visto chiaramente allo sciopero FIOM. Una tristissima gara a chi si smarcava per primo ha caratterizzato la frenesia con cui le varie siglette autoreferenziali aderivano o non aderivano al 28 gennaio. Un atteggiamento che definire ambiguo è dire poco. Dopo essere stati settimane a chiedersi se li si notava di più se avessero partecipato o no allo sciopero, è stato un fuggi fuggi dalle proprie responsabilità. “E’ meglio farlo a Marzo!”, “Noi manifestiamo a Roma!”, “Noi aderiamo solo con il nostro (misero) comparto metalmeccanico!”…e via dicendo. La tristezza ha chiaramente preso il sopravvento, e sarebbe ora che qualcuno avviasse un dibattito sul decadimento storico dei sindacati di base, completamente scomparsi dal dibattito sociale e politico di questi tempi.

Altro luogo politico evidentemente non pronto ad uno sciopero generale radicale e generalizzato è il movimento. Chi si è smarcato, chi ci è andato in sordina, chi si è defilato. Al più, si è scelto di aderire alla manifestazione di Cassino, almeno per quel che riguarda Roma e il Lazio. Oppure di andare al corteo dei Cobas a Roma. Ma è stata una presenza più di testimonianza che una vera e propria adesione convinta a questo appuntamento. Si, si è sfilati insieme alla FIOM, ma forse non è proprio quello il compito di chi porta avanti le lotte.

Visto che dei partiti attualmente di sinistra è meglio non parlarne, è chiaro che questo sciopero viene richiesto sperando che alla fine nessuno lo convochi. E il 28, con tutta la sua trita ritualità che non ha nulla a che vedere con la lotta politica e sociale, sta li ingombrante a dimostrarlo. Eppure non sono passati neanche due mesi da quel 14 dicembre, e più in generale da un autunno di lotta tutto sommato positivo, che aveva portato molto novità nella politica italiana. Di certo, lo sciopero generale era la parola all’ordine del giorno, e per tutti era evidente che avrebbe dovuto essere il passo successivo alle manifestazioni del 14 dicembre. Perché a quel punto la radicalità espressa quel giorno in piazza andava unita alle lotte di classe dei lavoratori, tutti assieme per uno sciopero che aprisse nuovi scenari, nuovi strumenti di lotta, nuovi immaginari politici. Purtroppo non è stato così. Certo, il 28 gennaio non era uno sciopero generale, ma premesso che la CGIL questo sciopero non lo convocherà mai (oppure lo convocherà contro Berlusconi), a chi altri spettava il compito di generalizzare quello della FIOM se non a noi? E infatti ci mettiamo anche noi, per quanto irrilevanti in questa circostanza, fra i responsabili del fallimento del 28 gennaio. E si perché sarà pur vero che allo sciopero hanno partecipato tanti lavoratori, ma di certo non era quello che ci aspettavamo dopo un autunno di lotte come quello passato. Dove in tutti i dibattiti si gridava “Fare come i Francia!”, “bloccare la produzione” e via dicendo cose giustissime che si inserivano in quei percorsi di lotta. Sono bastati neanche due mesi a spegnere tutto quel movimento? Speriamo di no, ma quello che è successo ci dimostra chiaramente che manca dannatamente in questo paese una guida politica che faccia la sintesi delle varie lotte di classe e dei conflitti che sovente esplodono, e che purtroppo durano lo spazio di un mattino. Una struttura politica, un partito o un movimento organizzato che porti avanti le lotte anche nei periodi di riflusso. Perché se bastano due mesi per spegnere gli entusiasmi, non è che si andrà poi molto lontano. Due mesi fa eravamo qui a dire, anche nei dibattiti organizzati da noi, come era a questo punto inevitabile che la FIOM lanciasse uno sciopero per poi essere raccolto da noi e generalizzato. La prima parte è avvenuta, è venuta a mancare clamorosamente la seconda, e questo è un problema che ci dobbiamo porre qui, ora, subito.